Reportage sui mille aspetti, umani e spirituali, del Grande Fiume
L’idea di immergersi, anche se per poco tempo, in realtà diverse dalla nostra, apprezzando l’opportunità di esplorare luoghi e culture senza particolari mappe predefinite, rispecchia un approccio attinente a pensieri e modalità comuni, ma partir per l’India senza aver esattamente capito dove si sta andando, e soprattutto senza aver deciso di voler fare un Grande Viaggio, fa tornare, personalmente e irreversibilmente, capovolti! Sì, perché anche se l’incontro con altri luoghi e persone riserva generalmente sorprese, l’India si presenta, ed è, un mondo a parte.
Tutto ruota attorno alla forza pura e feconda di Madre Ganga (Ganga Mata in sanscrito), o Parvati, grande dea del pantheon indiano, scaturita, come tradizione vuole, dalla Via lattea, e approdata tra i capelli del vigoroso consorte Shiva, frapposto tra terra e cielo, a far da barriera, con le sue folte chiome, a flussi d’acqua, le cui imponenti energie accoglie e trattiene. Il Rivolo Divino, lungo 2.700 chilometri, in gran parte navigabili, e con sorgenti a tratti in territorio tibetano, trae origine dai più alti pendii dei ghiacciai himalaiani e, scorrendo rapido dal monte Gangotri, entra, dopo circa 16 chilometri, tra cascate e rapide, nell’omonimo e suggestivo centro spirituale, snodo di itinerari vertiginosi, dai quali, secondo gli Indù, comincia ogni elemento di vita.
Il Grande Fiume pervade quel che incontra, fino ad assestarsi, nei luoghi di pianura, cuore vasto e pulsante del territorio più densamente popolato al mondo. Rive costellate di templi inghirlandati di petali e doni offerti da folle di pellegrini, in occasione di ricorrenze e festività, mostrano rituali intrisi di spiritualità e devozione. Gran parte della popolazione usa a scopi familiari e agricoli, oltre che rituali, l’acqua indogangetica, alimentata da nevi che si sciolgono e piogge monsoniche che, se malauguratamente s’incrociano, causano enormi disastri soprattutto nella piana più alluvionale lungo il basso corso. Ma per gli indù, che vivono, più d’altri, immersi in differente cultura e dimensione, simbolismi e cruda realtà si confondono a tal punto da divenire, tra le stesse acque omicide e salvifiche, perno e ruota autogeneratrice di atmosfere che riproducono sopravvivenza di vita e culti lungo il sentiero di liberazione dalla sofferenza (moksha).
Il pianeta India s’impone, mostrando esagerazioni d’ogni sorta, intrise di bellezza e brutalità estreme, sempre all’insegna del paradosso, soprattutto sulle confluenze di quei lembi di terra che compongono il puzzle dei suoi centri più sacri sul fiume: Haridwar, Varanasi (per gli inglesi Benares), Rishikesh e molti altri. Grandi mete dell’induismo, ospitano ogni sera al tramonto, sui loro ghats (scalinate lambite dall’acqua), centinaia di pellegrini, sâdhu (asceti rinunciatari seguaci di Shiva) e bramini che celebrano i cicli morte-rinascita con le danze del fuoco (aarti), tra fumi d’incenso e l’odore acre di canfora delle cremazioni. Mentre riti di ringraziamento si compiono lungo le sponde di madre Gange, addetti immergono corpi e ceneri, a compimento di un processo che è continuo cambiamento e purificazione, tra decine di pire ardenti che consumano i resti di quelle che furono vite, tra pellegrini, mucche, cani e scimmie dispettose.
Una specie di colata di lava e ghiaccio, dirompente e sempre confusa, s’apposta all’ombra di scenari che veicolano fuochi e lampi di ambientazioni irreali. Spettacolarità e folclore procedono insieme allo scorrere di liquami, in totale assenza di servizi igienici e di smaltimento rifiuti, tra schiere di fedeli assorti in mantra e abluzioni. Eppure è in quelle stesse acque, cariche di parassiti e contaminate da metalli e sostanze tossiche, che gli induisti bramano bagnarsi almeno una volta nella vita, purificando anche tra le fiamme i loro corpi, per interrompere il ciclo dell’esistenza (saṃsāra). E benché un buon sentimento di gruppo si riveli spesso strumento utile a preservare una sorta d’identità collettiva, a salvaguardia di una comune origine e differenza, mentre si procede tra elementi sconosciuti, a dispetto di ogni tentativo di cautela, la realtà supera davvero l’immaginazione, proponendo, a ritmo incessante, sfide e provocazioni.
Immagini di vita e di morte danzano allo stesso ritmo, in una specie di universo parallelo, come istantanee impregnate di suoni e colori che scorrono indisturbati, senza concedere alcuna possibilità di fissare margini a sgomento, gioia, repulsione. Dipanata su spazi di confine, la quotidianità indiana veicola un modello culturale che scalza abitudini e certezze, graffiando i sensi. L’impatto con le molteplici tipologie di indigenza è depistante. S’incontrano luoghi in cui la lebbra la fa da padrona, e il macabro scenario di arti mutilati scalza ogni differente idea di povero che non sia sovrapponibile a quella di un fantasma che deambula col corpo in decomposizione. Un coacervo di pitture multicolori veicola cose e persone, pietrificate o in movimento, con odori e rumori che si espandono tra i richiami rituali e persistenti di polveri d’incenso. Sferzate in pieno viso! Tutto impone l’abbandono di logica e senso comune, per lasciar posto alla rigorosa, contestuale fuoriuscita da sé.
Ma, sempre sulle rive del Gange, i sorrisi radiosi dei bagnanti fanno da bussola a chi pur con mille incertezze affonda i piedi scoperti nell’acqua, esplorando, tra sari e punjabi multicolori, donne dagli occhi sfavillanti, prodighe di sguardi generatori di un’ebbrezza che elude ostacoli e timori. Benché varcate alcune soglie, strade attraversate da sporcizia, fame e miseria, s’impongano, quali direttrici drammaticamente astoriche e persistenti
Eppure, ovunque lo sguardo si vada a fermare, tra i frammenti sulle rive si delinea una visione: la personificazione di una superficialità ripugnante e asservita a consumismi ed eccessi, inconsapevolmente avvezza a nutrire un mondo di morte… mentre la vita scorre abbarbicata a se stessa, in un gioco di equilibrismi insperati, sorretta da sguardi meravigliati e profondi, cuori scoperti, voci di bambini che sfumano come fremiti d’aria. L’India è contorni in dissoluzione in un’esplosione continua di emozioni e sentimenti che lasciano senza appigli. Inghiottiti dallo scorrere veloce degli eventi, si avverte imponente la presenza di un’altra identità, una comune anima che travolge e rigetta il superfluo, scorrendo su sfumature di arcobaleni diluiti in spettri di colore. Quanto basta ad azzerare ogni dubbio, a smantellare distanze. Tutto assume un altro senso, inutile opporsi.
Le foto che corredano l’articolo sono della stessa autrice.
Margherita D’Amico
(LucidaMente, anno IX, n. 104, agosto 2014)