Giovani e meno giovani si sono mobilitati in tutto il mondo per difendere la Terra. Ma siamo davvero pronti a questa sfida?
«There’s no Planet B»: è questo lo slogan che, per tutto il mese di marzo, ha dominato i mass media mondiali. Il cambiamento climatico e soprattutto gli scioperi degli studenti, che si sono riversati per le strade e le piazze delle principali città del globo, sono stati i protagonisti indiscussi delle agende di televisioni, stampa, radio e social media.
In decine di migliaia hanno sfilato e gridato per chiedere a chi ha in mano il futuro del pianeta di agire veramente per salvarlo, perché ormai il tempo stringe e potrebbe essere già troppo tardi. Le manifestazioni di marzo 2019 sono il culmine di un movimento globale nato dall’azione di Greta Thunberg, giovanissima attivista svedese che ha iniziato la sua protesta nell’agosto del 2018. L’attivismo di questa ragazza ha avuto conseguenze inaspettate, forse anche per lei stessa: in tutto il mondo – prevalentemente nei Paesi dove la coscienza ambientalista è più sviluppata – si sono gradualmente diffusi i Fridays for future (qui il sito italiano), culminati nello sciopero globale per il clima di venerdì 15 marzo scorso: giovani e meno giovani hanno sfilato a sostegno dell’ambiente, ispirati da questa adolescente che ormai è diventata un simbolo e, per la sua attività, è stata candidata al premio Nobel per la Pace.
Tali iniziative hanno avuto l’indiscusso merito di avere portato all’attenzione dei media un problema ben noto – gli scienziati ne parlano da anni, tra l’indifferenza e il negazionismo dei più – ma che tutti abbiamo ignorato fino ad oggi. I comportamenti sostenibili, il riciclo, la coscienza green sono ancora propri, purtroppo, di gruppi ristretti di persone e sono diffusi principalmente nei Paesi sviluppati. Ecco perché dopo il 15 marzo ci sono stati molteplici tentativi – falliti – di screditare questi movimenti e soprattutto Greta [qui la rivista Wired riassume i principali, ndr]. Il riscaldamento globale è dunque salito agli onori della cronaca, ma per salvare il pianeta non bastano hashtag e scioperi. È chiaro che senza politiche adeguate tutti gli sforzi sarebbero vani e quindi è doveroso pretendere azioni concrete anche da parte di chi governa.
Ma è necessario pure che ogni singola persona in ogni parte del mondo agisca ogni giorno: questo presuppone un cambiamento radicale nelle nostre società e abitudini. Siamo davvero consapevoli che avere uno stile di vita sostenibile comporta rinunciare a molti comfort e fare qualche sacrificio? Per esempio, utilizzare meno riscaldamento e aria condizionata, scegliere la bicicletta, i mezzi pubblici o andare a piedi anziché guidare sempre l’automobile o il motorino, seguire minuziosamente la raccolta differenziata, ridurre il consumo di plastica, sposare la cultura del riciclo e del riuso (di vestiti, tecnologie, ecc.) anziché quella del consumismo. Greta lo sta facendo: non viaggia in aereo, è vegana, limita l’utilizzo della plastica, cerca di adottare uno stile di vita sostenibile, ma difficile. Siamo in grado di seguire un simile modello quotidianamente? In nome dell’ambiente siamo davvero pronti a rinunciare al “benessere” inquinante in cui abbiamo vissuto finora? E poi: come convincere a cambiare rotta le Nazioni in via di sviluppo, dove la tematica ambientale è del tutto assente e alcuni stili di vita nocivi sono addirittura ancora associati al progresso?
Perciò movimenti globali come il Climate strike sono quanto mai necessari: servono a fare cultura ambientale, a diffondere consapevolezza e comportamenti sostenibili. Dando un’occhiata ai partner, si nota che hanno aderito organizzazioni da 26 Paesi: dal Benin alla Cina, passando per Canada, Colombia, Emirati arabi, Turchia, mentre in molti altri è in corso l’attivazione di collaborazioni. Quello che ora serve sono fatti e comportamenti reali. Sarà una dura lotta, perché non sembra esserci la volontà dei nostri governi di investire davvero nel futuro del pianeta. Né, tanto meno, quella dei potentati economici capitalisti globalisti e finanziari. Il fatto però che stia crescendo la consapevolezza di un cambiamento e che tali proteste siano avviate con l’entusiasmo delle nuove generazioni lascia una piccola speranza per l’avvenire.
Le immagini: la giovane svedese Greta Thunberg, attivista per l’ambiente candidata al premio Nobel per la Pace; manifestanti nel giorno dello sciopero per il clima, lo scorso venerdì 15 marzo 2019; il logo simbolo di Climate strike (Fridays for future).
Elena Giuntoli
(LucidaMente, anno XIV, n. 160, aprile 2019)