Riflessioni sulla giustizia: adattato per il teatro, con la regia di Alessandro Gassman, il libro “L’oscura immensità della morte” di Massimo Carlotto
Romanzo di Massimo Carlotto del 2004, L’oscura immensità della morte viene oggi rappresentato sulle scene di tutta Italia dal Teatro stabile del Veneto e dall’Accademia perduta Romagna teatri, per la regia di Alessandro Gassman. Gli scorsi 29 e 30 gennaio l’omonimo spettacolo è andato in scena all’Arena del Sole di Bologna. Una riflessione su temi attualissimi, quali la pena detentiva e il perdono, il confine tra bene e male. Provocazioni per il pubblico, che non può rimanere indifferente di fronte ai monologhi dei due protagonisti, sebbene risulti complesso assumere una netta posizione.
Giulio Scarpati è Silviano Contin, la vittima, cui hanno ucciso “per errore”, durante una rapina, moglie e figlio di otto anni. Claudio Casadio è Raffaello Beggiato, il carnefice. Condannato all’ergastolo, non vuole rivelare il nome del complice, ritenuto dal protagonista l’autore del delitto. Dal giorno della rapina i due sono sospesi in un limbo. L’uno imprigionato in una non-vita senza moglie e figlio, costretto a cambiare lavoro e allontanarsi dagli affetti più cari, affinché nessuno continui a provare pena per lui. L’altro in carcere, devastato dalla monotonia che scandisce le sue giornate, capace di affrontare le ore interminabili in cella solamente grazie ai tranquillanti. Quando scopre di essere malato terminale di cancro, comincia a intravedere la luce della libertà, spera in una sospensione della pena per fuggire in Brasile con i soldi della refurtiva che il complice gli avrebbe tenuto da parte.
A questo punto il ribaltamento dei ruoli prende il via: Beggiato chiede il perdono per ottenere la grazia. Ma «la pietà è un sentimento che faceva parte di un’altra vita prima che la morte avvolgesse la mia esistenza» afferma Contin, leggendo la richiesta di perdono dell’assassino. «Il cancro lo sta uccidendo, mi sembra solo un atto di giustizia. È giusto che Beggiato soffra fino all’ultimo, in galera, ovviamente, senza affetti, senza consolazioni. […] Quel povero stronzo pensa che io sia capace di gesti nobili. Ma per perdonare bisogna provare sentimenti, avere una vita…». Lacerato dal dolore e dal rancore, nonché da una solitudine lunga quindici anni, riesce a mettere a tacere la voce che spesso lo assilla, quella straziante richiesta di aiuto della moglie agonizzante nel letto dell’ospedale, con la vendetta, applicando la legge del taglione.
Così Carlotto, coinvolto in passato in prima persona in un caso giudiziario, (vedi http://www.misteriditalia.it/altri-misteri/carlotto/) sintetizza la propria opera: «Oscura immensità non lascia scampo. Alla fine ognuno è costretto a prendere posizione, a non eludere le domande che i due personaggi pongono con la forza disarmante dei destini contrapposti e ineluttabili. Chi deve perdonare colui che ha commesso un delitto e che sta scontando una pena detentiva o è rinchiuso nel braccio della morte? I familiari della vittima o lo Stato? O entrambi? La ragione, la politica, la religione, la filosofia non sono ancora riuscite a dare una risposta esauriente e in grado di soddisfare coloro che hanno sofferto il danno irreparabile della perdita di un loro caro, per mano assassina, perché prevalgono sentimenti ancestrali che offuscano, accecano, trasformando l’esistenza in una oscura immensità».
Convince l’interpretazione di entrambi i protagonisti, sebbene Casadio-Beggiato incarni lo stereotipo del detenuto, sottolineato dai tatuaggi, dal linguaggio e dalla voce roca. D’effetto la scenografia, costruita con luci e immagini proiettate, in particolare la cella del carcere.
Le immagini: foto (di Gianmarco Chieregato) che ritraggono Giulio Scarpati e Claudio Casadio durante lo spettacolo e la copertina della nuova edizione del libro di Carlotto.
Francesca Gavio
(LucidaMente, anno VIII, n. 86, febbraio 2013)