In occasione del suo soggiorno a Lamezia Terme, il cantante e musicista pugliese fa un salto nel passato, rivivendo aneddoti e incontri che hanno cambiato e segnato la sua vita
Elegante e sobrio al tempo stesso, giacca scura, camicia bianca, cravatta amaranto, pantaloni grigi, scarpe di vernice nera, calze blu. Di bell’aspetto, esile, capelli corti, occhiali dalla montatura semplice. Un perfetto gentleman. È Gegè Telesforo, uno dei più interessanti personaggi del panorama jazzistico italiano. Musicista, esperto di scat, una forma di canto basata sull’improvvisazione, conoscitore delle tradizioni del free jazz (che tuttavia non ama perché privo di regole, fuori dagli schemi), ma anche del funk e del rhythm’n’blues. Lo abbiamo incontrato al centro della Calabria, a Lamezia Terme, per LucidaMente.
Il vocalist, definito da alcuni “un bianco dal cuore nero”, si presenta come «afro-americano di Foggia» e si racconta ironizzando su alcuni episodi della sua vita. Da semplice ragazzo di provincia a personaggio in dello spettacolo, il suo percorso è stato costellato di situazioni non facili. Studente modello, amante della musica, Telesforo era poco interessante per le ragazzine del paese, più attratte da coetanei fuori dagli schemi. La prima vera conquista fu l’assemblaggio di una batteria acquistata a pezzi come regalo del papà Roberto, architetto, tenorista e pianista amante del jazz. Ma il suono di questo strumento divenne per le orecchie del vicinato una tortura, tanto da costringerlo a limitare le sue performance dalle 17 alle 18. «A Foggia, al sesto piano di un palazzo di via Angelo Fraccacreta, la mia passione mi faceva smarrire la cognizione spazio-temporale. Finché un giorno del 1972, precisamente alle 18,20, mia madre mi lanciò una scarpa fratturandomi il naso. Allora ho capito che il lavoro del musicista è pericoloso. Non potendo più suonare, iniziai a utilizzare la voce e a simulare i suoni dei batteristi».
Cresciuto in un contesto difficile, nel quale bullismo e ruberie erano frequenti, il giovane di Foggia poco considerato dalle ragazze, costretto a tenere a bada il suo forte amore per la musica, decise di intraprendere il pugilato, trascurare il suo aspetto, conformarsi agli altri: un periodo breve della sua vita, anche se gli insegnamenti che ne derivarono gli tornarono utili per non soccombere quando dovette trasferirsi a New York. Allora un bianco doveva rimanere a Manhattan, poiché era pericoloso recarsi in alcune zone come, per esempio, Brooklyn.
Telesforo continuò a studiare batteria e a prendere lezioni di pianoforte da Rico Garofalo, maestro anche di Renzo Arbore, suo concittadino. «Avevo lavorato con lui a Quelli della notte. Poi, con Ugo Porcelli, mi invitò a presentare, sempre per la Rai, uno spazio serale di intrattenimento per ragazzi, al quale si aggiunse Monica Nannini, D.O.C: Musica e altro a denominazione d’origine controllata». L’incontro con Arbore segnò quindi la scalata verso il successo e gli consentì di incrociare artisti come Salomon Burke, James Brown, Miles Davis, Dizzy Gillespie, Rufus Thomas, e i nostri Lucio Dalla e Francesco De Gregori. E Dee Dee Bridgewater, allora sconosciuta, oggi cantante di fama internazionale. Spiega Gegè: «Le presentai Davis e lei per ricambiare mi invitò a Montecatini dove doveva esibirsi con Ray Charles nella trasmissione Serata d’onore condotta da Pippo Baudo. Charles, prima del concerto, fumò una canna e mi invitò a fare altrettanto, ma dopo due, tre boccate, iniziai a sentirmi strano, a ridere e piangere. Il calumet della pace offerto da lui a me, giovane di provincia, mi disorientò e rimasi in camerino. Baudo non lo ha mai saputo. L’esibizione, seppi poi, fu straordinaria».
Nel 1987, in una puntata di D.O.C., Telesforo conobbe Ben Sidran, con il quale realizzò un disco, un tributo al jazz bebop, con Gillespie, Terry e grandi nomi quali Bob Berg e Jon Hendricks. Ecco come rivive il primo incontro con James Brown: «Lo attendevamo negli studi televisivi, ma non arrivò puntuale poiché, partito da Los Angeles, a New York si accorse di non avere il passaporto. Avevamo la sua band ma mancava lui. Ero in redazione e il portiere mi avvisò che c’era un “altro negro” che voleva entrare ed era senza documenti. Quando vidi, con la moglie, Brown, capello biondo cotonato, e incavolato, mi inginocchiai in atteggiamento di venerazione, lui mi sorrise e mi mise la mano sulla testa, io lo abbracciai».
Per Telesforo «fare un programma come D.O.C. oggi è impensabile. Sono cambiati il pubblico e il modo di esprimersi, mentre i giovani guardano poco la tv e, se vogliono vedere delle trasmissioni, usano telefonini e computer. Io ho Sky e decido liberamente il mio palinsesto». Ma che cos’è il jazz oggi per l’artista? Il vocalist ce lo spiega così: «Si tratta di un linguaggio diverso, complesso per chi lo ascolta per la prima volta o per chi non lo frequenta, ma questa musica ha le sue regole e non è complicata. Chi abbraccia tale genere conosce la tradizione, vive l’attualità ed è proiettato verso il futuro. Al contrario del pop, che invece è radicato nel presente catalogando il passato. Il jazz non è commerciale, è espressione dell’anima, è passione e non segue stereotipi».
Le immagini: foto di Gegè Telesforo a Lamezia Terme e Renzo Arbore.
Dora Anna Rocca
(LucidaMente, anno X, n. 110, febbraio 2015)
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