Libere riflessioni post “ddl Cirinnà”. La maternità surrogata: è sempre accettabile in modo acritico ciò che il progresso della scienza rende possibile?
L’avvenuta approvazione in un ramo del parlamento del “disegno di legge Cirinnà”, che disciplina ufficialmente le unioni civili, ha lasciato dietro di sé una scia di polemiche riguardanti lo stralcio dell’articolo sulla cosiddetta stepchild adoption, che avrebbe dovuto regolamentare l’adozione del figlio del partner anche all’interno di coppie omosessuali.
Non a caso, però, l’attenzione dell’opinione pubblica sembra essersi progressivamente spostata verso la questione della maternità surrogata. Non a caso, poiché l’intreccio tra le due tematiche –nonostante le rassicurazioni e le pretese dei più acritici – è inevitabile quanto la riflessione che dovrebbe conseguire alla sua constatazione. Non è infatti trascurabile o indegna di attenzione la possibilità di una sostanziale legittimazione del risultato – non della pratica – di una gestazione per altri, che il sopracitato articolo del ddl avrebbe reso realtà. Stante il divieto di avvalersi in Italia di un cosiddetto utero in affitto, rimane sancito il rifiuto di legittimarne il processo vero e proprio; tuttavia, nell’ipotesi di avvenuta approvazione di quell’articolo, si sarebbe ottenuta la liceità formale del tipo di genitorialità che ne deriverebbe.
Si tratta di quel tipo di genitorialità pretesa dai Sergio Lo Giudice o dai Nichi Vendola di turno, incuranti di ciò che comporta il loro desiderio di paternità, ovvero un miscuglio cementizio e inquietante di mercato, di tecnica, spesso di denaro e sempre di diritti pretesi da una parte e ignorati dall’altra. A sostenerli non vi sono solamente esponenti di un chiaro fanatismo di genere, che fa pendant con l’integralismo cattolico, ma anche voci che, pur con minore zelo, avanzano paragoni sorprendenti come quello tra un rene donato, o il generico corpo della donna, e l’utero a servizio di terzi per generare un bambino oggetto di scambio.
A opporvisi non è solo il mondo cattolico e conservatore, facilmente imputabile di opposizione preconcetta, ma che su questo tema non pare essere a corto di argomenti ragionevoli. Allo stesso modo, infatti, progressisti non privi di spirito critico, cosiddetti rosso-bruni, e persone che semplicemente conservano il senso della misura e dell’autonomia, sanno intimare un alt di fronte a furie dileguatrici, tirannie dei desideri e seduzioni economiche e tecniche. Un paio di semplici spunti di riflessione in questo senso – che andrebbero ampliati e approfonditi – ce li hanno forniti in queste settimane di dibattito Marina Ripa di Meana, che con inaspettato buonsenso ha ricordato che nemmeno i cuccioli di cane si strappano alla madre appena nati, e Natalia Aspesi, unica ad avanzare una tesi neanche tanto inimmaginabile: quella per cui il diffondersi di irrefrenabili desideri di paternità e maternità, soprattutto di omosessuali, poggi sulle possibilità della tecnica scientifica, sempre in bilico verso il totale asservimento alle logiche mercantili.
Se la genitorialità è un evento cui normalmente sopraintende un progetto, fino a che punto è possibile considerare ammissibile e corretta la mobilitazione di un gran numero di strumenti e risorse per adempierlo? Certamente la pretesa di colmare limiti naturali a questo adempimento giungendo all’assenza di qualunque limite – e di remore di fronte ai destini, alle condizioni di vita e psicologiche di coloro che in nome di esso vengono coinvolti – sembra allontanare la garanzia di una sua legittimità sostanziale, più profonda di quella che potrebbe donarvi un disegno di legge, da non confondere con un desiderio da soddisfare a ogni costo e da spacciare vittimisticamente come diritto.
Christian Corsi
(LucidaMente, anno XI, n. 123, marzo 2016)
Condivido pienamente i dubbi e gli interrogativi molto seri posti da Christian Corsi, anche attraverso le citazioni che riporta. Vorrei aggiungere un’osservazione di ordine storico-sociale: l’etica è soggetta ai tempi e, se ai “miei tempi” l’imperativo era di congiungersi a tutti i costi senza riprodursi, ora pare che il diktat sia all’incirca quello di riprodursi senza congiungersi, e poco importa l’appartenenza sessuale dei soggetti. Lo dico, ovviamente, con una forzatura al paradosso, ma credo di non essere lontana dal nocciolo della questione. Quello che mancava e mi manca è il riferimento al momento passionale, all’amour-passion, che è pur sempre il sale della vita.