Con l’aiuto di Giampiero Moncada, giornalista esperto di gambling, chiariamo alcuni dubbi su una materia difficile e oggetto di molti, troppi, pregiudizi moralistici
Dopo l’approvazione del Decreto Dignità, diventato legge lo scorso agosto, si è parlato molto di gioco d’azzardo: la normativa, infatti, vieta tutta la pubblicità che lo riguardi. Il provvedimento, se da una parte ha attirato il consenso delle associazioni che combattono la ludopatia, dall’altra ha scatenato le polemiche degli operatori del settore e di coloro che godono delle loro sponsorizzazioni, squadre calcistiche in primis. La materia non è semplice e risulta difficile trattarla in maniera oggettiva, senza giudizi morali e, soprattutto, moralistici. Secondo Giampiero Moncada, giornalista tra i più grandi esperti del mondo dell’azzardo, che LucidaMente ha voluto intervistare in merito, «tutta l’informazione di gioco è tendenzialmente concentrata sulla patologia, sull’allarmismo».
Anche la Legge n. 96 del 9 agosto 2018, che proibisce di fatto qualunque tipo di promozione del gioco d’azzardo, si inserisce in questo “filone allarmistico”?
«Assolutamente sì. E per due ragioni. La prima è che si vieta la pubblicità di tutti i giochi per tutelare le persone che hanno una dipendenza (vedi Gioca, irresponsabile!); si consideri, però, che l’addiction è causato nel 90% dei casi dalle slot machine, seguite, in misura minore dai gratta e vinci. Peccato che le slot non abbiano mai fatto alcun tipo di promozione: perché quindi proibire una pubblicità che, fondamentalmente, riguarda le scommesse sportive e i casinò online? La seconda ragione è che, soprattutto per quanto riguarda l’online, la pubblicità aiuta a promuovere il gioco legale mettendo in ombra quello non regolare. Togliendo questo elemento di comunicazione, si finisce per eliminare un importante fattore di distinzione. Il ragionamento in Italia è stato: abbiamo constatato che giocare alle slot crea dipendenza, togliamo la pubblicità sugli altri giochi!».
Quando si parla di gioco online, che cosa si intende per siti non regolari?
«Nell’ambito della legislazione sul gioco, il confine tra legale e illegale è scivoloso; si tratta di un’area grigia dove un’azione non è legale, ma neanche del tutto illegale. Per questo è più corretto parlare di siti regolari e non regolari. I primi sono quelli autorizzati dal monopolio italiano, che recano la vecchia sigla Aams (Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato), oppure quella nuova Adm (Agenzia delle dogane e dei monopoli). Il problema sono i cosiddetti siti .com: si tratta di portali che, appoggiandosi a server esteri, non infrangono alcuna legge italiana. È il giocatore che dall’Italia si collega al sito a commettere l’irregolarità, non la pagina».
Che cosa rischia chi gioca su un sito non autorizzato?
«Da un punto di vista pratico, nulla. Legalmente, nell’eventualità del tutto stravagante che una persona venga in qualche modo individuata, c’è una penale che comunque non è alta. Se gioco su un sito .com in pratica non rischio nulla».
Parliamo di psicologia: esiste il profilo del “giocatore tipo”?
«Premesso che non sono uno psicologo, ma un giornalista che si confronta con gli psicologi, in un’ottica antropologica il gioco è un’attività innata nell’uomo: è uno strumento di apprendimento. Il rischio è insito nella natura del gioco, ma è solo con l’entrata in campo del denaro che nasce l’azzardo. A questo punto bisogna distinguere tra “alea” e “abilità”: con la prima ci si affida al caso, con la seconda si dimostra di essere bravi; per gli psicologi, quest’ultimo è l’aspetto che fa la differenza. Quando la quota di casualità si riduce e aumenta l’impegno, diminuisce il pericolo di dipendenza. Al contrario, i giochi con un alto livello di imprevedibilità hanno un rischio di addiction più alto. Un’altra variabile che pare determinante è la periodicità: quanto più un gioco ha tempi lunghi, tanto più la tendenza alla compulsione diminuisce, fino ad azzerarsi. Per esempio, nella lotteria nazionale che c’è una volta all’anno non c’è minaccia di dipendenza; invece, con un’estrazione ogni dieci minuti il pericolo aumenta: che tu abbia perso o vinto, hai comunque la possibilità di rigiocare subito. Questo ritmo può portarti alla dipendenza».
Che cosa si può fare per tutelarsi?
«La miglior tutela per tutti, minori e ottuagenari, è la prevenzione».
Per i minori, nativi digitali, è più facile accedere ai siti di gioco online?
«In realtà il gioco online è il più controllato: per poter procedere bisogna fornire una documentazione che attesti la maggiore età e spedirla anche tramite posta tradizionale. L’operatore poi è tenuto a fare delle verifiche incrociate per accertarsi che i dati siano veri. Bisogna anche possedere uno strumento di pagamento a distanza; naturalmente c’è sempre il rischio che un ragazzo usi la carta di mamma e papà. A quel punto, però, il problema non è più dello Stato, ma familiare. La legge, per quello che può fare, è molto rigorosa».
La recente creazione del portale Moncada Talk deriva quindi da un’esigenza di informazione più chiara e meno superficiale?
«L’idea di creare un sito che tratti soprattutto di gioco d’azzardo nasce prima di tutto dalla mia esperienza giornalistica e dai seminari C’è gioco e gioco che tengo in tutta Italia, indirizzati ai giornalisti. La volontà è quella di avere un posto per poter ragionare con calma sulle notizie; la comunicazione oggi è sempre più frenetica ed è fatta di slogan anziché di ragionamenti. Il gambling è un argomento complesso che spesso viene trattato con un’informazione troppo semplicistica. L’immagine che deve trasmettere il sito è proprio quella del “sediamoci e parliamone”, come si fa davanti a una buona tazza di tè».
Chiara Ferrari
(LucidaMente, anno XIII, n. 154, ottobre 2018)