Il musicista e performer imolese ha da poco rimasterizzato il proprio precedente disco del 2013, “Refoming the Substance” (produzione SonicaBotanica), aggiungendo anche tre nuovi brani. Come sempre, musica per palati fini, con esiti sorprendenti, stimolanti, gradevoli
Si può comporre un puzzle di brani musicali di varia origine (prevalentemente classica) con efficaci inserzioni e campionamenti elettronici, in modo tale che l’ascoltatore avverta l’opera come unitaria e dalla piacevole fruizione? Nel caso di Giovanni Dal Monte, del quale LucidaMente ha a suo tempo segnalato le installazioni a Imola e un concerto bolognese, la risposta è certamente “sì”.
Da poche settimane, sempre per la produzione SonicaBotanica, il musicista imolese ha finito di rimasterizzare un suo precedente lavoro del 2013, Refoming the Substance. In questa riedizione dell’ottobre 2016 è stata eliminata una traccia, Pathosformel (peraltro uno splendido viaggio “cosmico”), incentrata su componimenti di compositori britannici quali Frederick Delius e Gustav Holst. Ma, per un totale di otto componimenti e più di un’ora complessiva di ascolto, sono stati aggiunti tre nuovi brani: Dgvnn-A, Zbrflt-B e Fdl-A. Cominciamo da questi ultimi, della durata ciascuno di 4-5 minuti, che rappresentano la novità del disco. Le suadenti voci femminili dal Don Giovanni e da Il flauto magico di Wolfgang Amadeus Mozart si incontrano/scontrano con distorsioni elettroniche e sonore, con tagli e inserti di natura anche extramusicale. L’esito è suggestivamente straniante, inquietante, sempre inaspettato.
Il primo degli altri cinque brani, già compresi nella precedente edizione di Refoming the Substance, apre maestosamente l’opera. Piacevole all’ascolto, K491KV421 si dipana per quasi quindici minuti. Protagoniste ancora le melodie di Mozart, compreso un fantasmagorico passaggio accelerato dal Laudate Dominum; e veniamo trasportati in sfere celesti sconosciute. Il successivo Le Caire en avril inizia cacofonicamente, completa mimesi del noto caos del traffico automobilistico della capitale egiziana, per approdare ad armonie trasognate e serene, che ricordano forse un certo Franco Battiato sperimentale e affascinato dall’esotismo.
Nel terzo componimento del disco, Ionosfera, alcune registrazioni della Nasa si mescolano a radiosegnali e a rumori inquietanti, trasportandoci su sconosciuti esopianeti, dalle misteriose superfici ribollenti e senza luce. Si apre con scintillii alla George Gershwin il seguente Boris on Broadway, nel quale sono giustapposti campioni del Boris Godunov di Modest Mussorgsky ai rumori delle strade della metropoli americana. La quinta traccia, Unser abendrot, omaggio a Richard Strauss, è interamente composta da Dal Monte, che vi usa solo sintetizzatori: un procedere lento e conturbante, come una sensuale danza erotica, che va a spegnersi forse perché i sensi sono ormai estenuati, coi corpi stremati dal piacere.
Un importante pregio dell’arte di Dal Monte è legato al fatto che, attraverso la sua talentuosa reinterpretazione, la musica “classica” diventa “contemporanea”, anzi, da avanguardia sperimentale, a partire da Arnold Schönberg in avanti. È come se i meravigliosi suoni del passato, sempre meravigliosi tentativi dell’arte di raggiungere l’assoluta estasi spirituale e il divino, si immergessero, forti della loro vita immateriale e immortale, nel tenebroso oceano odierno. La memoria evocata si rinnova, e si resta sospesi tra l’antica estetica e il presente. Un presente elettronico, tecnologico, forse senza più speranze di un radioso futuro, e comunque con la certezza che le fiducie e le armonie dei secoli andati, quando l’umanità credeva nel bello e nel possibile, radioso, progresso, si sono dissolte. Speranze che sono state probabilmente annientate per sempre dalla trasformazione del mondo umano in un convulso, caotico, violento pianeta disumano. E, oggi, persa ogni illusione, è possibile rivivere quei sogni, anche musicali, soltanto in modo frammentario e disarmonico, con un residuo di malinconica, straziante nostalgia.
L’icona più efficace del disco è proprio la stessa immagine di copertina, col musicista nudo che galleggia, quasi nell’assoluta oscurità, completamente rilassato in un’acqua che immaginiamo tiepida e accogliente. Una sorta di vasca di Lily, che induce a perdersi in un’altra dimensione della mente: il misticismo, la memoria, l’evasione, la liberazione dai limiti corporei… Ed è proprio ciò che Dal Monte è in grado di indurre nel proprio ascoltatore, a condizione che questi si lasci liberamente e fiduciosamente trasportare dal flusso musicale multisensoriale dell’artista.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XII, n. 133, gennaio 2017)
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