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Home INTERVISTE

Gioventù e libri secondo Pettener

Francesca Gavio by Francesca Gavio
21 Febbraio 2010
in INTERVISTE, LA CITAZIONE, LIBRI
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Intervista all’autore di “È sabato mi hai lasciato e sono bellissimo” (Corbo)

Giugno 1990, esame di maturità: alla domanda finale della commissaria esterna “Cosa farà adesso?” Emanuele ammutolisce “come un imbecille illuminato dal sole”. Quel che vuole, in effetti, lo sa benissimo: «L’inno nazionale mentre sono sul podio, i giornalisti che mi aspettano all’aeroporto, le ragazzine che si strappano i capelli al mio passaggio. Avevo vent’anni e una ruga verticale fra gli occhi. Avevo vent’anni e una vita davanti, come si dice. Del resto avevo vent’anni, e non capivo un granché. Che poi a dir la verità non avevo ancora vent’anni: mancavano otto mesi…».
Questo è l’incipit di È sabato mi hai lasciato e sono bellissimo (Corbo Editore, collana L’Isola Bianca, diretta da Roberto Pazzi, pp. 350, € 15,00) di Emanuele Pettener, docente di Lingua e Letteratura italiana negli Stati Uniti. Il romanzo, giunto alla seconda edizione, sta ottenendo un buon successo di pubblico e critica, probabilmente per esser riuscito ad abbinare una storia divertente e coinvolgente (con un pizzico d’erotismo) a una scrittura raffinata e limpida. Così, ci siamo date da fare per intervistare Pettener. Ecco cosa ci ha rivelato.

pettenerIl suo romanzo ha, fra i suoi temi forti, quelli della giovinezza, della passione, della letteratura. Perché questa scelta?
«La giovinezza mi appassiona: brucia, divampa, e lascia dietro di sé cenere, memorie, strisce luccicanti di voluttà. Più s’invecchia anagraficamente, più si ringiovanisce dentro. Infatti abbiamo la testa per goderne i frutti solo quando è passata da un pezzo: a vent’anni siamo troppo vecchi e troppo stupidi! La giovinezza ha sempre natura di paradosso: desideriamo essere unici e inimitabili, ma costruiamo la nostra identità attraverso l’imitazione e l’affiliazione. “Io dico sempre quello che penso” proclamiamo a vent’anni, senza renderci conto che diciamo e pensiamo sempre quello che dicono e pensano gli altri, i compagni di branco o i rozzi cantanti che prendiamo a modello. La letteratura mi appassiona perché, fra le altre cose, dà forma alla giovinezza e permette di riviverla: fra tutte le arti è quella che più concede all’intelligenza di giocare, ubriacarsi, e raggiungere vertici divini. La passione mi appassiona, anche semanticamente».

Nel libro, oltre al protagonista Ema, suo omonimo, troviamo numerose figure maschili e femminili: Niso, Alcapone, Rebecca, Saba, Angelica. In che modo ognuno di loro rappresenta una parte della sua giovinezza, o della giovinezza in generale?
«Quando ho scelto gli attori per la mia commedia, non mi sono chiesto cosa rappresentassero – compito che tocca allo spettatore, peraltro liberissimo di non assolverlo -, ma se avessero personalità ben delineate, intense, e soprattutto diverse fra loro, di modo che il loro incontro-scontro provocasse scintille, saette, e brividi di curiosità. Insomma, un sano divertimento per tutti! Chiedo scusa se la mia risposta può suonare reticente, ma anche con i miei studenti cerco di non fornire loro mai interpretazioni prima che leggano un dato libro, per non rovinare il gusto della lettura; semmai le condivido a lettura ultimata. Quanto più il libro è vitale, tanto più lo saranno le interpretazioni».

In che misura È sabato mi hai lasciato e sono bellissimo è autobiografico?

«Nella misura di quel che rimane, tolti l’inganno della memoria, la riflessione umoristica, l’invenzione letteraria, che è sempre finalizzata a produrre un effetto estetico, mai una verità».

Quali sono i suoi modelli letterari?
«È risaputo che qualsiasi modello va abbattuto, con dolcezza e gratitudine, ma va abbattuto. Posso dire che in un’opera d’arte quello che mi stupisce, mi lascia ammirato, mi dà gioia, è l’architettura: ovvero quando l’artista modella la vita informe e le dà una spina dorsale; quando vi ritrovo i richiami, i ritorni, le coincidenze meravigliose dell’esistenza; quando quello che leggo o vedo mi fa sorridere, ridere, e piangere; quando colgo le sfumature e i colori di un oggetto come se lo vedessi per la prima volta. Se potessi, mi piacerebbe dire grazie di cuore, in ordine sparso, a Oscar Wilde, Miguel de Cervantes, Marcel Proust, Choderlos de Laclos, Francis Scott Fitzgerald, Agatha Christie, Knut Hamsun, Vladimir Nabokov, Italo Svevo, e diversi altri».

Quali sono le difficoltà che incontra in Italia un esordiente?
«Quelle che incontrerebbe in qualsiasi altro paese, suppongo. Anche se in altri paesi, penso agli Stati Uniti, un nutrito numero di riviste letterarie e la figura dell’agente letterario forse facilitano l’impresa».

Lei insegna Lingua e Letteratura italiana nella Florida Atlantic University, nel sud della Florida. Come sono gli studenti americani?
«Meravigliosi! Guardo con affetto e tenerezza ai miei giovani virgulti che si dibattono con passione fra le giungle di un congiuntivo e i versi irti e magnifici di Guido Cavalcanti. Spesso lavorano duro per mantenersi agli studi, anche quelli di buona e buonissima famiglia: consumano le serate a servire birre ghiacciate ai vecchi riccastri del South Florida e poi la notte sulle sudate carte. Io, classico ragazzo italiano mantenuto agli studi fino ai venticinque anni e rifocillato dai miei fino ai ventotto, non posso che provare rispetto per questi ragazzi e un filo di vergogna per me stesso. Tra i miei studenti vorrei menzionare i senior, ovvero ragazzi over sessanta, che dopo la pensione hanno deciso di imparare la nostra lingua: diversi fra loro sono diventati i miei migliori amici».

Sta già scrivendo un altro libro?
«Le dirò che scrivere è divertente, ma sognare di scrivere ancora di più. Sto sognando almeno un centinaio di romanzi, un paio dei quali decisamente buoni. Nel frattempo, ho quasi ultimato un manoscritto che parla di una misteriosa vicenda accaduta ai Tropici, e lo sto traducendo parallelamente in inglese, con l’aiuto (costoso) di un professionista. Mi permetto inoltre di segnalarle che in questi giorni esce, per conto di Franco Cesati Editore, un mio studio su uno dei miei scrittori preferiti: Nel nome del Padre, del Figlio, e dell’Umorismo: i romanzi di John Fante».

L’immagine: la copertina del libro di Emanuele Pettener.

Francesca Gavio

(Lucidamente, anno V, n. 52, aprile 2010)

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Tags: angelicabruciacorbo editoredivampaemaerotismofemminiligiovinezzaimitazionemaschilipassionepettenerrebeccasabastati unitivecchi
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