La “meritocrazia” inserita nella riforma della scuola Giannini produrrà effetti catastrofici
Riceviamo e volentieri pubblichiamo le riflessioni di un insegnante di Avellino.
Istituire per legge un “sistema meritocratico”, come intende fare la riforma Giannini, nel mondo già fin troppo sconquassato della scuola pubblica, nel settore della formazione culturale delle giovani generazioni, è un’operazione assai pericolosa e devastante in termini politici, nella misura in cui rischia di produrre effetti laceranti per il tessuto già fin troppo fragile, precario e consunto delle istituzioni scolastiche.
Servirebbe, invece, instaurare e alimentare un clima costruttivo e non competitivo, uno spirito di cooperazione democratica, un modello di autogestione e di partecipazione collegiale. Il rischio paventato è anche quello di incentivare e istigare pratiche clientelari, corruttele, truffe, malaffare, egoismi e opportunismi di ogni genere, incoraggiando fino alle più estreme conseguenze il servilismo, l’arrivismo, l’avidità, l’individualismo esasperato e disdicevole di molti docenti, enfatizzando e inasprendo l’arroganza, l’arbitrio e il dispotismo di numerosi dirigenti scolastici. Si rischia di far prevalere la peggiore competizione, al ribasso, che esalta gli egoismi e gli scambi mercantili.
Faccio soltanto notare che il clientelismo nella scuola esiste già da tempo. Si replica già ogni anno in “mercato delle vacche”. Esattamente dal 1998, quando furono introdotti i cosiddetti “fondi incentivanti”, che, nel corso degli ultimi anni si sono moltiplicati come “i pani e i pesci”. Anzi, come i “Pon e i pesci” [vedi Tra Pon, Por e Pof… la scuola fa flop!]. I presidi elargiscono tali fondi aggiuntivi soprattutto ai loro servi “devoti” e leccapiedi.
La nostra è una categoria in parte servile ed obbediente, meschina e conformista. Ho visto colleghi e colleghe litigare per pochi spiccioli, vendersi il deretano per quattro miseri soldi. Figuriamoci quali scenari grotteschi e osceni potrebbe configurarsi se e qualora si introducessero nel mondo della scuola pubblica “meccanismi premiali” affidati alla discrezione, prevalentemente arbitraria, dei “presidi-manager”. La scuola, essendo un ambiente (per fortuna e anche per natura) impermeabile e refrattario alle novità (intese qui in un senso peggiorativo) è una struttura ostile, restia e diffidente rispetto alle “rivoluzioni” demolitrici o “deformiste” che vengono imposte dal capitale internazionale
Perché la “Buona S(cu)ola” non è una “riforma” di Renzi, del Partito democratico o del governo, bensì una controriforma calata dall’alto, voluta da quel mondo imprenditoriale che, nella migliore delle ipotesi, punta a fare della scuola un luogo arido d alienante di addestramento alla selezione di classe all’interno del mercato del lavoro, cioè un organismo propedeutico e funzionale alla cinica logica aziendalista e “meritocratica” che ispira il capitalismo ormai marcio e decrepito, in fase di decomposizione avanzata.
Per tali e altre ragioni, la scuola pubblica si trova nel mirino ed è sottoposta all’attacco inferto dai superpoteri economici e politici oggi dominanti. La scuola è un elemento di “conservazione”, intesa qui in una chiave positiva, nell’accezione indicata da Pier Paolo Pasolini quando, negli Scritti corsari, spiegava che, di fronte alle “rivoluzioni di destra” avviate dal grande capitale industriale e finanziario, i conservatori sono gli unici, veri rivoluzionari che si oppongono ai piani scellerati di devastazione e disumanizzazione della civiltà. Ebbene, anch’io mi professo un “conservatore”.
Lucio Garofalo – insegnante (Avellino)
(LucidaMente, anno X, n. 115, luglio 2015)