Cinque manifestazioni in meno di due mesi contro la privatizzazione del sistema scolastico e universitario. Non mancano incidenti e arresti
Dopo la Marcia dei pinguini del 2006, così definita per le uniformi indossate dagli studenti, con la quale si richiedeva che l’educazione non fosse più sottoposta alle leggi del mercato, da maggio di quest’anno tantissimi alunni delle scuole secondarie e universitari manifestano a Santiago del Cile e in varie città del Paese, richiedendo a gran voce una riforma del sistema scolastico, appoggiati dagli insegnanti, dai genitori, dai nonni, dai sindacati, dagli impiegati pubblici e dai cittadini in genere.
Nel 2006 si protestava contro la Loce (Ley orgánica costitucional de enseñanza), la Legge costituzionale sull’educazione, uno degli ultimi sigilli lasciati da Pinochet nel 1990, nonostante la dittatura fosse agli sgoccioli. Essa ha favorito la nascita di scuole e università private, sovvenzionate dal governo, tuttora in maggioranza rispetto a quelle pubbliche. Oltre alle proteste contro le speculazioni dilaganti nell’educazione e quindi la richiesta di totale abrogazione della Loce, gli studenti sollecitavano una riduzione delle tariffe dei mezzi pubblici, la gratuità della prova d’accesso all’università e la diminuzione delle ore complessive della giornata scolastica, a causa dell’inadeguatezza delle strutture e della mancanza di fondi per organizzare attività didattiche complementari. Richieste solo in parte evase dall’allora presidente, Michelle Bachelet (2006-2010, Partito socialista).
Oggi i cileni tornano a manifestare e a occupare vari istituti scolastici e università. Non mancano incidenti e atti di vandalismo. La polizia, sempre in tenuta antisommossa, disperde i cortei pacifici usando gas lacrimogeni e sparando acqua sulla folla inerme. Giovani incappucciati danno fuoco alle auto, rompono vetri di edifici, semafori e segnali stradali, costruiscono barricate in alcuni punti della capitale. Il movimento studentesco, tuttavia, si dissocia da tali atti di violenza. Le fonti ufficiali parlano di circa trecento detenuti tra gli studenti e una ventina di agenti feriti, ma varie testate giornalistiche arrivano a stimare circa mille incarcerati per ogni giornata di protesta.
L’attuale sistema scolastico cileno “tramanda” la disuguaglianza. Le scuole secondarie dipendono dalle municipalità (Santiago del Cile ne conta 37). Naturalmente, quelle più povere non hanno le risorse necessarie per garantire un’educazione di qualità e strutture dignitose, di conseguenza la maggior parte degli studenti che escono da quelle scuole hanno voti mediocri o bassi, per cui non riescono a superare le prove d’ingresso all’università pubblica. Molti studenti sono costretti a rinunciare agli studi universitari o a iscriversi a un’università privata, indebitandosi per diversi anni, giacché cominciano a restituire il prestito ottenuto per gli studi a partire dal loro primo impiego. Da qui le richieste del movimento al governo di garantire investimenti di risorse pubbliche nelle scuole e nelle università, tramite borse di studio, e di introdurre il divieto di lucro per le scuole e università private. Inoltre, si chiede che vengano garantite la libertà d’insegnamento, di espressione e di associazione studentesca.
Una delle misure che potrebbe aumentare le entrate del Paese sarebbe la nazionalizzazione del rame, di cui il Cile è ricco. Tuttavia sembra che la mancata riforma dell’educazione non sia tanto un problema economico – le risorse ci sono – quanto ideologico. La Bachelet prima e oggi Miguel Juan Sebastián Piñera (presidente dal 2010, centro-destra) hanno preferito conservare la logica neoliberista che ha permesso al Cile di diventare uno dei paesi più ricchi del Sud del mondo. Va da sé che hanno lasciato al mercato di regolare anche il settore educativo.
In risposta alle proteste, a fine giugno il governo ha proposto il Gran acuerdo nacional de la educación, finanziato dal Fondo por la educación di 4.000 milioni di dollari, entrambi considerati insufficienti dagli studenti. Inoltre Piñera ha dichiarato che la statalizzazione dell’educazione «costituisce un grave errore e danneggia profondamente sia la qualità sia la libertà d’insegnamento». Dichiarazioni e proposte non gradite dai manifestanti, che hanno fatto sì che la protesta continuasse.
Le immagini: le foto con cartelli e striscioni con slogan si riferiscono alla manifestazione del 7 agosto 2010 e sono state gentilmente concesse da Monica Marillanca Tropan, del popolo indigeno mapuche.
Francesca Gavio
(LucidaMente, anno VI, n. 68, agosto 2011)
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