Piccole ma preziose perle i trenta racconti di “Narratori delle pianure” (Universale economica Feltrinelli) di Gianni Celati
Ormai ultrasettantenne, Gianni Celati (Sondrio, 1937, ma vissuto a Ferrara e Bologna) è uno dei più interessanti scrittori in circolazione, e non solo in Italia. La sua è una prosa essenziale, dimessa, umile, tutta incentrata, con senso di pietas, verso gli uomini, diciamo così, comuni, e le loro vicende.
Consigliamo la rilettura di una sua opera del 1985, i suoi trenta racconti compresi in Narratori delle pianure (Universale economica Feltrinelli, pp. 158, € 7,50) sono stringati, ma ricchi di motivi sentimentali, di stupori per l’avventura dell’esistenza. Celati osserva, ma nel contempo entra nel vivo delle osservazioni, con una saggezza antica, ereditata come un bagaglio pesante, quasi intrasportabile, che pure lui accetta di trascinare e dal quale ricava mille scampoli di luce. Una narrazione piana, quasi dolente, fatta di cose, dalle quali traspaiono emozioni piene, pensieri densi, illusioni e delusioni, tentativi e sopportazioni, nella logicità, ma soprattutto nell’illogicità dell’esistenza. Riflessioni, considerazioni, ma nessuna sentenza, bensì una continua, affettuosa, compartecipazione ai capricci dell’umore, alle sorprendenti emozioni, ai tuffi nell’animo, ai comportamenti spensierati, alle bizzarrie, alle viltà.
Per averne un’idea, ecco le righe finali del racconto Bambini pendolari che si sono perduti: «Hanno dovuto fermarsi, Nella nebbia voltandosi vedevano attorno a sé dovunque una grande parete bianca, in cui non riuscivano a ritrovarsi l’un con l’altro, e neanche a vedere il proprio corpo, né a percepire bene un richiamo. Avevano freddo e si sentivano soli, ma non potevano andare né avanti né indietro, e dovevano restare lì, in quello stranissimo posto dove s’erano perduti. Avevano fatto tanta strada venendo da lontano in cerca di qualcosa che non fosse noioso, senza mai trovare niente, e adesso per giunta chissà quanto tempo avrebbero dovuto restare nella nebbia, col freddo e la malinconia, prima di poter tornare casa dai loro genitori. Allora è venuto loro il sospetto che la vita potesse essere tutta così».
Dario Lodi
(LucidaMente, anno VII, n. 73, gennaio 2012)