Nel Comitato d’appello ben 18 paesi hanno deciso di prorogarne l’uso per almeno altri cinque anni. L’Italia vota no. La Germania vota a favore, spostando gli equilibri
Poche ore fa, in sede di Comitato d’appello, i paesi dell’Unione europea hanno concesso una proroga quinquennale all’autorizzazione del glifosato. Una soluzione di compromesso che era nell’aria, sensibilmente ridotta rispetto all’iniziale proposta di prolungamento decennale. Molto insoddisfatti, però, ambientalisti e varie associazioni di medici, coltivatori e gastronomi, che auspicavano un totale divieto del noto diserbante.
Rispetto alla riunione dello scorso 9 novembre, che non aveva espresso una maggioranza qualificata a sostegno o contro la proposta, è stato il voto favorevole di Bulgaria, Polonia, Romania e Germania, che in precedenza si erano astenute (i tre stati dell’est in quanto ritenevano che un’autorizzazione di cinque anni fosse esigua, la Germania perché optava per tre anni). A quanto pare, gli equilibri sono stati spostati proprio dal voto tedesco. A favore si sono espressi 18 paesi, 9 contrari, 1 astenuto. «Il voto di oggi dimostra che quando tutti vogliamo, siamo in grado di condividere e accettare la responsabilità collettiva nel processo decisionale», ha affermato Vytenis Andriukaitis, commissario europeo alla Salute. L’Italia è stata, con Belgio, Cipro, Francia, Grecia, Lettonia, Lussemburgo, Malta e Ungheria, tra i nove Paesi che hanno votato contro. Astenuto il Portogallo. Ma cos’è il glifosato? E come si è arrivati alla decisione odierna?
ll glifosato è la molecola dotata di proprietà erbicide più utilizzata al mondo, vale a dire in più di 750 prodotti per l’agricoltura e il giardinaggio domestico. Dalle iniziali 3.200 tonnellate nel 1974, la produzione è arrivata a 825.000 nel 2014, in oltre 130 paesi e con un giro di affari che ammonta a circa 6 miliardi di dollari. In particolare, costituisce il componente principale del celebre diserbante Roundup, brevettato nel 1974 e commercializzato in esclusiva fino alla scadenza del brevetto nell’anno 2000 dalla Monsanto, la multinazionale statunitense della chimica e agrochimica.
Nel 2015 il glifosato è stato classificato come molecola «probabile cancerogena» da una agenzia legata all’Organizzazione Mondiale della Sanità (lo Iarc, International Agency for Research on Cancer, con sede a Lione), che ha rilevato in alcuni studi epidemiologici forti prove e associazioni positive per il linfoma non Hodgkin (Nhl). Ma questo parere è stato messo in discussione e non confermato da due agenzie europee di regolazione: nel novembre 2015 dall’Efsa (sicurezza alimenti) e nel marzo 2017 dall’Echa (sostanze chimiche). Così come peraltro recentemente hanno fatto alcuni ricercatori americani (che hanno seguito per 50 anni 50.000 lavoratori agricoli in Iowa e North Carolina), in uno studio pubblicato il 9 novembre 2017 sul Journal of National Cancer Institute. Essi hanno scritto di non aver rintracciato un’associazione statistica tra glifosato e cancro, né specifici tumori del sangue.
La divisione della comunità scientifica sulla questione si è riprodotta anche in sede di Unione europea, tanto che, dopo mesi di dibattiti e polemiche sull’influenza lobbistica della Monsanto sugli studi scientifici condotti dalle Autorità di regolazione, il comitato degli esperti dei paesi membri si era trovato in una condizione di spaccatura e incapace di trovare un consenso maggioritario (16 paesi su 28) riguardo al periodo temporale di proroga dell’autorizzazione al commercio del glifosato, la cui scadenza era prevista per il 15 dicembre 2017 (vedi L’Europa non vieta il glifosato, l’erbicida più diffuso in Italia: ma è cancerogeno o no?).
In Italia si utilizzano ogni anno quasi 10.000 tonnellate di glifosato. Gli agricoltori con il glifosato risparmiano tempo e fatica: basti pensare che, rispetto a un attrezzo meccanico, il glifosato è efficace 10 volte tanto, cioè in un solo giorno si possono disinfestare 200 ettari anziché 20. In più esso è anche economico: si risparmia il gasolio necessario all’aratura e con soli 12 euro per ettaro, spruzzandone 2,5 litri, si riescono a uccidere tutte le piante infestanti. Con un decreto del nostro Ministero della Salute del 9 agosto 2016, in base al principio di precauzione, in Italia sono state introdotte delle restrizioni all’utilizzo di questo prodotto (divieto d’uso nella fase di preraccolta delle colture). E, senza tener conto dell’inesistenza nel mercato di un prodotto sostitutivo al glifosato, e quindi dell’inevitabilità pratica di una fase transitoria, il 6 marzo 2016 il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, ha annunciato il no dell’Italia alla proroga in sede europea e un Piano nazionale “glifosato zero” che prevede da qui al 2020 lo stanziamento di risorse per oltre due miliardi di euro per misure agronomiche che abbassino sempre di più l’utilizzo della chimica nei nostri campi.
Tuttavia, a distanza di oltre un anno e mezzo, ancora non sono resi noti alla pubblica opinione i suoi contenuti, tempi e modalità di approvazione, né si comprende dove siano finite le risorse promesse. Essendo del tutto impreparati alla repentina eliminazione dal mercato del glifosato, si è voluto scommettere non senza una buona dose di ipocrisia sullo “scudo protettivo” che avrebbe assicurato l’Europa, non cancellando la sostanza dall’oggi al domani. Altrimenti, viene da pensare, sarebbero stati guai seri e la protesta degli agricoltori non si sarebbe fatta attendere.
Ugo Pietro Paolo Petroni
(LucidaMente, anno XII, n. 143, novembre 2017)