Sono arrivata in Ecuador ormai un mese fa; sono stata sulla costa, sono stata tra le montagne, sono passata per città grandi e piccole. Ho visto uomini, donne e bambini, giovani e anziani, occhi scuri, capelli scuri, sorrisi chiari. Sono stata in pullman, in macchina, in quei buffi autobus di legno aperti ai lati dove la gente si ammucchia tra i colori e le galline pretendono il loro spazio. Sono stata in barca, sono stata su trabiccoli formati da una moto con dietro attaccato un cassone di legno colorato e fornito di comodo sedile. In ogni luogo e in ogni caso c’erano dei bambini: che salivano alle fermate degli autobus per vendere ai passeggeri caramelle, panini, gelati, cioccolata, acqua o frutta e che poi scendevano dal bus in corsa agili e super elastici.
Per le strade di Loja, sulle Ande, ho visto bambini e adolescenti andare in giro per le strade reggendo in equilibrio lunghi pali di legno, alla cui estremità più alta stanno appesi tanti sacchettini di plastica che contengono zucchero filato rosa. Per le strade di Loja ho visto manifestazioni di adolescenti in uniforme che pretendono una lingua di studio in più nei loro licei. Nei bar delle città ho visto entrare bambini in uniforme scolastica, dopo l’orario di chiusura delle scuole: si avvicinano ai tavoli e chiedono qualche monetina, per mangiare. Qualcuno gli regala un lecca lecca.
Per le strade di Monpiche, sulla costa, ho visto dei piccini seminudi che scorrazzano in bande, correndo scalzi per le vie non asfaltate dei paesi dove vivono. Ho visto bambini giocare con le onde, correndo avanti e indietro sul bagnasciuga per non farsi toccare dalla cresta bianca, velocissima.
Per le strade di Vilcabamba, sulle Ande, ho visto gruppi di bambini con lo sguardo serio, da grandi, con i tratti da piccoli adulti in miniatura, fermi agli angoli della piazza, pronti a lanciare un’occhiata da duro a ogni straniero che passi loro vicino, lanciandosi segnali d’intesa, pronti ad allungare la mano e ad afferrare qualsiasi cosa ti spunti malauguratamente dalla tasca. Dappertutto ho visto bambini con i musetti sprofondati in grandi frutti sugosi. Al telegiornale ho visto grandi occhi di bambini spaesati che guardavano il tetto della loro casa insieme al loro materasso portati via dall’inondazione. L’Istituto nazionale dell’infanzia e della famiglia (Innfa), ha lanciato un programma di recupero delle migliaia di bambini e bambine che sono rimasti coinvolti nelle zone d’inondazione e ha fatto partire “Il ritorno all’allegria”, fornendo aiuto psicologico ed emozionale ai minori residenti nelle aree colpite.
Un lavoro minorile molto gettonato in tutto il paese è quello dei piccoli lucida scarpe: entrano nei bar e nei ristoranti, sono agli angoli di tutte le strade e nei parchi, si avvicinano guardandoti le scarpe e le tasche. Invece, il lavoro minorile che ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, delle organizzazioni umanitarie e delle Ong è quello che occupa i bambini nelle discariche: raccolgono tutto quello che si può riciclare e rivendere o riutilizzare. Un altro di questi luoghi sono le coltivazioni di banano le cui condizioni lavorative hanno fatto scandalo ovunque e che ora, invece, sembrano essere state regolarizzate. All’inizio di febbraio, è stato firmato dal presidente Rafael Correa un provvedimento sul lavoro minorile: sono state previste leggi più strette insieme all’esclusione dei minori da certi tipi d’impiego che ostacolano la crescita normale e armoniosa del bambino e dell’adolescente e che, molto spesso, si svolgono in luoghi pericolosi non solo per la loro salute fisica ma anche psicologica. Il programma, che prevede un servizio alla salute, appoggio pedagogico, ricreazione ed educazione, si chiama Plan nacional para erradicar el trabajo infantil en basurales (Piano nazionale per l’eradicazione del lavoro infantile nelle discariche).
Ai miei occhi europei, tanti dettagli e tante situazioni di vita quotidiana che vedo, appaiono come chiari segni di povertà, di carenza d’igiene, di scomodità, di miseria. Poi guardo meglio e mi rendo conto che mi sto ingannando: il bambino scalzo che cammina sul sentiero a fianco a me, spingendo una carriola grande il doppio di lui, portando chissà dove un grosso cubo di ghiaccio, lo fa perché questo è parte della sua cultura, perché in una comunità lavorano tutti e ogni persona è importante per il mantenimento dell’equilibrio socioeconomico del gruppo. Mi rendo anche conto che la casa in cui vive sì, è fatta di legno e il tetto è coperto di lunghe foglie di banano, ma la casa è posta in alto su dei pali robusti, lontano dagli animali e dagli intrusi, di fianco alla casa ci sono tanti vestiti variopinti stesi al sole ad asciugare e c’è tanta frutta di tutti i tipi disponibile a ogni angolo. Mi rendo conto che lui vive a contatto con la natura, su una spiaggia che si estende a perdita d’occhio e passa all’aria aperta la maggior parte della sua giornata, non si rovina gli occhi giocando tutto il giorno con i videogame, ma corre sulla spiaggia lanciando sfide alle onde.
Esistono anche zone rurali e aree dell’Amazzonia dove i bambini, soprattutto sotto i dieci anni, soffrono di denutrizione cronica. Questo succede anche a causa di politiche precedenti che non hanno tenuto conto di tanti fattori culturali, della molteplicità etnica delle diverse comunità e, soprattutto, delle loro diverse fasi di sviluppo. L’attuale governo, invece, ha adottato una politica completamente diversa per quanto riguarda questo aspetto: è intervenuto varando una legge che si occupa dell’alimentazione dei bambini dalla nascita fino ai 5 anni. In seguito, il progetto si prenderà cura di una fascia più ampia di minori fino a risolvere questo problema terribile che si riflette su tutto il paese, perché questi bambini che soffrono la fame oggi, compromettono il futuro di tutta la repubblica e dei suoi abitanti.
“I bambini e gli adolescenti sono il nostro bene più prezioso: difendiamoli!” Dappertutto per le strade dell’Ecuador, su tutti i muri, ho visto slogan di questo tipo che inneggiano alla difesa dei minori, nel nome di dio, nel nome dello stato, nel nome della famiglia, della comunità e anche della rivoluzione. Innumerevoli scritte e grandi murales variopinti inneggiano alla difesa dell’ambiente e allo sviluppo della cultura ecuadoriana, questo in nome dei minori e della salvaguardia del loro futuro. La letteratura che riguarda l’ambiente e l’infanzia è davvero vasta e, a ogni evento pubblico, come ai concerti e alle rappresentazioni teatrali, se ne parla. L’argomento è molto attuale e riscontra una grande attenzione e un grande interesse da parte di ogni tipo di pubblico.
Ecco cosa ne pensano alcuni bambini che lavorano: “I bambini della mia età lavorano. Tutti i bambini lavorano per aiutare i genitori…” (Jonatan 7 anni, Manta). “Sì, prima mi veniva mal di testa, ma poi ci si abitua. Può essere pericoloso anche essere investiti da un trattore o ti può cadere addosso la spazzatura, però non ho sentito tanti casi come questi qui, prima morivano di più. Uno si abitua, sta attento e basta…” (giovane, Quito). “Quando uno è giovane si portano i soldi ai genitori, quando uno è già grande mantiene sua moglie e i suoi figli…” (giovani, Portoviejo).
Così, il primo sguardo a questo paese, per me nuovo e pieno di sorprese, mi comunica sicurezza e fiducia: si sente l’energia che scorre, si sente l’attività che ferve, si sente l’impegno della gente, della comunità, a ogni angolo di strada, si sente la grande volontà di risolvere i propri problemi mantenendo la coscienza pulita, si sentono l’amore e il rispetto di tutti per il grande patrimonio ambientale che questo paese ha a disposizione e che ha intenzione di salvaguardare e difendere, non solo per i bambini ecuadoriani, ma per i bambini di tutto il mondo.
L’immagine: bimbo a Monpiche.
Erika Casali
(LM Magazine n. 2, 15 maggio 2008, supplemento a LucidaMente, anno III, n. 29, maggio 2008)