Nato al Rehab Technologies Lab, il prototipo poliarticolato è stato presentato lo scorso aprile alla fiera Exposanità di Bologna
È stata denominata Hannes in onore del primo direttore tecnico del Centro protesi Inail Vigorso di Budrio (Bologna) – il professor Johannes Schmidl ‒ ed è la prima protesi di arto superiore che riproduce funzionalmente ed esteticamente la mano umana. Dopo tre anni d’intensa collaborazione del Centro protesi Inail con l’Istituto italiano di tecnologia di Genova (Iit), il dispositivo, presentato lo scorso 18 aprile a Bologna presso Exposanità 2018, è già stato sperimentato da tre pazienti. Le dita si piegano, il costo è più basso dei precedenti arti artificiali, la resa estetica è migliorata.
Nella puntata della trasmissione Ulisse. Il piacere della scoperta [programma di Rai Tre a cura di Alberto Angela, ndr] dello scorso 14 aprile, dal titolo Sfida ai limiti del corpo umano, è stato trasmesso uno spezzone dell’intervista a Marco Zambelli, un paziente del Centro protesi. Zambelli, che ha perso la mano in un infortunio sul lavoro quando aveva sedici anni, ha già sperimentato la protesi e ne descrive le qualità funzionali. La gioia è di riavere, finalmente dopo tanto tempo, “la sua mano”. Questo dispositivo, infatti, offre un’efficienza pari al 90% rispetto a un arto vero. Inoltre, l’applicazione non richiede un intervento chirurgico e i costi, rispetto agli altri adesso sul mercato, si sono abbassati del 30%. Il dispositivo – afferma sempre Zambelli – «è leggero e morbido». Il senso del tatto è assente, ma altri studi sono in corso per una traduzione sempre migliore. A oggi le protesi di arto superiore, e nello specifico della mano, sono state l’estetica (personalizzabile ma non funzionale), la mano con presa tridigitale (solo tre dita) e la protesi mioelettrica (che consente il movimento sfruttando gli impulsi nervosi trasmessi dai muscoli).
Schmidl, nel 1965, ha realizzato la prima mano mioelettrica. Anche Hannes sfrutta gli impulsi elettrici provenienti dalla contrazione dei muscoli dell’arto residuo, come una protesi mioelettrica. La differenza è che questo nuovo arto può essere comandato da chi lo usa “con il pensiero”: possiede cioè due sensori in grado di interpretare i segnali in arrivo dal cervello e per questo motivo non richiede intervento.
L’emozione di chi ha sperimentato tale modello di protesi sta nell’aver ritrovato qualcosa che pensava perso. L’idea di avere una mano solo estetica non è sufficiente, non crea mai soddisfazione nel paziente. Le nuove tecnologie, in questo caso messe a punto dal Rehab Technologies Lab, nato nel 2013 dalla collaborazione Inail–Iit, procedono verso lo sviluppo di protesi funzionali, a un costo accessibile. L’Inail, infatti, finanzia il dispositivo al 100% nel caso di infortuni sul lavoro. Per chi usufruisce dell’assistenza sanitaria nazionale i costi sono invece coperti al 50%. Chiaramente è necessario avvicinarsi alle reali possibilità dei futuri utenti. Così come a Exposanità del 2013 si descrivevano le potenzialità del ginocchio bionico, dopo cinque anni si parla ora della mano bionica. La barriera tra umano e robotico è abbattuta? Per quanto non tutti i progressi tecnologici siano visti, o possano essere visti, come positivi e la robotica crei l’angoscia che la macchina possa sostituire l’uomo, in questo caso i risultati sono tutti a suo vantaggio. L’essere umano e la macchina collaborano, al servizio del primo.
Il progresso a volte va guardato solo come un più uno sulla linea temporale, perché si sente regolarmente lodare il passato in contrapposizione al tempo presente. Il contenitore di sperimentazioni che è invece il nostro presente ha tanto da offrire e permette di guardare al futuro con un po’ di ottimismo in più.
Roberta Antonaci
(LucidaMente, anno XIII, n. 150, giugno 2018)