Ho conosciuto Salvo Zappulla, scrittore e direttore della casa editrice Terzo Millennio, in una fredda mattina invernale. Colsi da subito in lui quella vena d’arguta ironia che mi piace trovare nell’intelligenza delle persone. Ebbi modo in seguito di leggere i suoi romanzi, man mano che proseguiva la nostra conoscenza e si allargavano i nostri discorsi grazie ai tanti interessi comuni, o meglio, all’unico e grande interesse comune, perché di uno solo si tratta: la scrittura e l’ambiente in cui svilupparla e farla conoscere.
Ho trovato in Zappulla la competenza di un attento conoscitore di ogni aspetto della produzione del libro e del viaggio che il libro percorre per passare dalla penna, oggi chiamata pc, dello scrittore fino ad arrivare sul comodino del lettore, destinazione abbastanza ambita che ci spinge a studiare sempre nuove forme di scrittura e di divulgazione della stessa.
Credo che per molti il mondo dell’editoria sia totalmente sconosciuto, come un animale alieno ancora da esaminare, e penso che farsi raccontare qualcosa da chi ne sa più di noi sia un modo affascinante per iniziare a scoprirlo.
Voglio iniziare proprio dalla scrittura e da come si sta evolvendo il modo di comunicare con eventuali lettori. L’Italia è sempre stata un paese di scrittori e poeti, ma oggi si assiste a un vero e proprio boom del numero di aspiranti scrittori, grazie anche alla facilità con cui si possono immettere in rete i propri scritti, in un proliferare di siti di scrittura e blog personali, entro i quali ognuno può pensare a se stesso come a uno scrittore a tutti gli effetti. La cosa sorprendente di tutto ciò è che tutti scrivono ma nessuno legge.
“E’ proprio questo il grande limite della rete: chiunque può pubblicare, visto che non costa nulla, tutti sono scrittori e nessuno è scrittore; ci si immerge in un grande calderone dagli ingredienti più disparati. Non sono contrario, ognuno può dare sfogo alle proprie aspirazioni come meglio ritiene opportuno. A livello amatoriale può andare benissimo: ritrovarsi in un sito è una maniera per stare insieme tra persone che coltivano gli stessi interessi. Questo vale sia per i siti letterari che per quelli porno”.
Secondo lei, è possibile pensare di scrivere davvero senza aver letto?
“Non si diventa grandi scrittori senza aver letto; nella vita non si inventa nulla, non si può costruire una casa senza conoscere gli strumenti di lavoro. Leggere vuol dire confrontarsi, assimilare stili di scrittura diversi, differenti capacità di affabulazione”.
Pensa che ci siano degli autori che sono “vincolanti” per arrivare ad una conoscenza del modo migliore di sviluppare una buona scrittura?
“Non credo ci siano scrittori “vincolanti”. Io amo i grandi surrealisti: Borges, Calvino, Kafka, Buzzati. Il deserto dei tartari l’avrò riletto almeno una diecina di volte. “Lo sgocciolio lento dei minuti che si consumano, così come la fiammella della vita, in attesa del grande evento” mi fa ancora venire la pelle d’oca”.
Come si concilia il suo lavoro di scrittore con quello di direttore di una casa editrice come Terzo Millennio?
“Si concilia con il fatto che io amo tutto ciò che ruota attorno alla carta stampata, mi verrebbe da abbracciare anche il più scalcinato dei tipografi. Terzo Millennio è una piccola realtà di cui siamo orgogliosi, ha la sua identità, siamo distribuiti in maniera capillare in tutta la Sicilia e per adesso può essere sufficiente. Abbiamo pubblicato scrittori di ottima qualità quali Gordiano Lupi, toscanaccio dalla penna tagliente e irriverente, o Leone Zingales nella collana di educazione alla legalità, che ha avuto un riscontro di vendite al di là di ogni più rosea previsione. Il nostro fiore all’occhiello rimane Roberto Mistretta, tradotto in Germania e oggi conteso dalle migliori case editrici italiane. Ecco, basterebbe l’esempio di Mistretta per dare senso alla nascita di una piccola casa editrice come Terzo Millennio. Tuttavia tengo a precisare che, proprio perché intendiamo rimanere una piccola ma seria realtà, le esigenze di mercato non ci consentono di pubblicare più di uno o due romanzi all’anno, sicché diamo maggiore spazio alla collana di Recupero delle tradizioni“.
Per uno scrittore è quasi un percorso “obbligato” arrivare ad occuparsi dell’editoria in tutti i suoi aspetti, o pensa che possa ancora esistere il letterato che viva appartato nel proprio mondo di parole e non si interessi ai problemi legati al suo lavoro?
“Per quanto riguarda lo scrittore che vive appartato… Non so, mi sembra una visione piuttosto romantica. A me pare che tutti facciano a gara per apparire in televisione e per conquistarsi un metro di spazio. Lo scrittore è un manager di se stesso. La concorrenza è spietata e bisogna correre per non rimanere indietro”.
Si parla spesso di editoria siciliana, mentre non si parla, ad esempio, di un’editoria lombarda o emiliana. A cosa crede sia dovuto questo? Al fatto che la Sicilia si senta come slegata dal resto dell’Italia, con problemi che sono sempre e solo suoi, nei quali solo i siciliani si possono riconoscere, oppure proprio in un voler rivendicare questa “sicilianità” di cui, mi sembra, lei stesso si fa portabandiera?
“La Sicilia geograficamente è posta in una situazione di svantaggio rispetto alle altre regioni: bisogna attraversare il mare per portare i libri dall’altra parte, e forse questo è penalizzante. La verità è che tutti i grandi mass media, televisioni e giornali, sono concentrati al nord e tendono a valorizzare i prodotti del luogo. O forse al Sud non ci sono grosse realtà imprenditoriali all’altezza per competere con i colossi lombardi o piemontesi. Tuttavia ci sono ottime case editrici che si stanno creando spazio a livello nazionale. Tra queste desidero ricordare Il pozzo di Giacobbe, che produce libri di elevato impegno sociale e fiabe per bambini, corredati da una veste grafica elegantissima, che attira subito l’attenzione del lettore. Portabandiera? Piuttosto la croce porto. La croce di un vizio chiamato scrittura di cui, come le sigarette, non riesco a fare a meno”.
La Sicilia è da sempre terra di grandi letterati. Grandissimi scrittori sono nati in questa bella isola. Ci si potrebbe chiedere se, oltre alla bellezza dei luoghi, abbia influito sugli artisti anche il fatto stesso della condizione geografica dell’isola, che porta ad una sorta di “isolamento” anche spirituale e a un approfondimento di se stessi, strada da percorrere per arrivare alle parole. Cosa pensa di queste versioni? Quale ha più pesato sul suo modo di scrivere?
“Bufalino parlava di “isolitudine”. Forse è la stessa spiritualità alla quale fa riferimento lei. In verità non mi sono mai ispirato agli scrittori siciliani nei miei romanzi. Io amo il surrealismo, la scrittura satirica, tutto ciò che è brio, esplosione. Amo immensamente quel geniaccio, non del tutto compreso, di Achille Campanile”.
Le agenzie letterarie in Italia sono presenti da non molti anni. In che modo un’agenzia letteraria può essere utile ad uno scrittore esordiente? Ritiene che un lavoro di rappresentanza svolto in maniera competente possa essere davvero il punto di forza per presentarsi a una casa editrice e ottenere ascolto e attenzione?
“Le agenzie letterarie svolgono un ruolo importantissimo, direi determinante in certi casi. L’agente letterario professionista, che riscuote credito presso i grandi editori, esegue un lavoro di ricerca, snellendo il lavoro alle case editrici stesse, le quali ricevono centinaia di manoscritti da vagliare, con costi e impiego di tempo fastidiosi. L’agente conosce le esigenze degli editori, sa qual è quello giusto cui indirizzare una determinata opera. E’ in grado di effettuare un lavoro di editing e dare i consigli migliori al proprio autore. Attenzione però a non cadere nella rete di certe agenzie improvvisate che cominciano a chiedere una determinata somma per stipulare il contratto, un’altra per il lavoro di editing e un’altra ancora ad accordo concluso con l’editore trovato da loro. Quasi sempre si finirà nelle fauci di un editore a pagamento che completerà l’opera spillando altri soldi al povero sprovveduto autore, che alla fine si ritroverà con un libro stampato, ma niente affatto o poco distribuito e con qualche migliaia di euro in meno”.
I concorsi letterari sono stati da sempre uno dei modi più sicuri per farsi notare dal mondo dell’editoria e anche dai lettori. Negli ultimi anni il numero dei concorsi ha avuto un grande incremento. Pensa che siano ancora uno strumento efficace per farsi conoscere, o crede che abbiano perso parte del loro fascino, in questo mondo in cui tutto deve essere immediato e di pronto consumo? Inoltre non vige il pregiudizio che alcuni concorsi e alcuni premi siano in un certo senso pilotati?
“Non mi faccia parlare male dei concorsi. Sono arrivato secondo l’anno scorso al premio “Massimo Troisi” con un’opera teatrale. E giuro che non ero raccomandato. Non amo partecipare ai concorsi, ma il “Troisi” è all’insegna dell’umorismo e mi ispirava. I concorsi, quando sono gestiti in maniera professionale, con giurie qualificate, possono costituire buoni trampolini di lancio. Consiglio di astenersi da concorsi dove sono in palio medaglie, pergamene, immaginette della santa patrona, coppe e coppette, e con esose tasse di iscrizione da pagare. Meglio se in palio c’è la pubblicazione su un’antologia ben curata. Ne approfitto per segnalare il concorso indetto dalla mia amica Rina Brundu, “L’indizio nascosto”; quello sì che è un concorso serio”.
Da qualche anno è aumentata la vendita di libri on line, anche se ancora in percentuale abbastanza esigua rispetto ad altri Paesi. Nello stesso tempo è nata l’offerta di editoria print on demand, cioè di opere stampate nel momento in cui vi è la richiesta, abbattendo così molti costi, tra i quali anche quello di produzione di libri che spesso rimarranno invenduti. Pensa che questo abbia generato una diversa modalità d’approccio al libro e alla lettura?
“Sicuramente internet ha rivoluzionato il mondo della comunicazione. Se prima il monopolio apparteneva alle grandi testate giornalistiche, ora anche i piccoli editori e autori hanno trovato un’alternativa per farsi conoscere. Tuttavia ritengo che il tempio dei libri rimangano sempre le librerie tradizionali perché conservano un loro fascino particolare, quasi mistico direi”.
Ritiene anche che tutto ciò favorisca lo sviluppo dell’editoria tradizionale, o possa, invece, avere l’effetto contrario?
“Non credo molto ai libri stampati in digitale e non credo che possano avere alcun effetto, né in bene né in male, nei confronti dell’editoria tradizionale. Non basta pubblicare un libro per diventare scrittori. Scrittori lo si diventa quando lo status viene riconosciuto dai lettori, ovvero quando esistono persone disposte a spendere 10 euro per acquistare la tua pubblicazione tra tante altre. E, in ogni caso, stampare un libro non può considerarsi la fine di un percorso ma, al contrario, l’inizio. E’ necessario tutto un lavoro di preparazione e di programmazione affinché quel libro venga inserito nel circuito della distribuzione”.
Alcune piccole case editrici nascono a sostegno di determinate problematiche sociali e di culture emarginate e minori, che spesso nessuno ascolta, diventando così la loro voce, e creando un’editoria di nicchia con guadagni molto ridotti. Questo aumenta le difficoltà di inserimento in un mondo, quello dell’editoria, che spesso è in mano a quattro o cinque grossi colossi e lascia poco spazio ai piccoli, considerando anche le altre grosse difficoltà che ci si trova a dover affrontare, come il problema della distribuzione, che ha costi molto onerosi. Come ci si può salvare, allora, da un appiattimento dell’offerta editoriale, che potrebbe derivare dal cedimento ed eventuale chiusura di queste piccole case editrici?
“Io credo che si possa fare editoria seria anche con mezzi limitati; basta avere le idee chiare, individuare fasce di mercato ben definite e inserirsi con prodotti qualificati che riscontrino l’interesse dei lettori. E’ chiaro che il problema principale dei piccoli editori rimane la distribuzione, la poca o inesistente visibilità nelle librerie. In questo caso il web può essere d’aiuto, ma la questione di fondo rimane quella di riuscire a conquistarsi un piccolo spazio nei punti vendita. Altro, invece, è pubblicare a spese dell’autore speculando sulle velleità artistiche di persone che magari scrivono bene, ma non hanno nulla di importante da dire. In questo caso i piccoli editori, non investendo fondi propri, non hanno alcun interesse a operare una valida selezione e tendono a pubblicare opere mediocri che vanno a ingolfare un mercato già saturo”.
L’immagine: particolare de I giocattoli di Giove: La biblioteca di Babele (terracotta, 2005), immagine gentilmente concessa da Francesco Cento.
Morena Fanti
(LucidaMente, anno II, n. 6 EXTRA, 15 luglio 2007, supplemento al n. 19)