Le ipocrisie che agevolano i trafficanti di esseri umani. E, nel mondo, pace, democrazia, libertà e benessere sono minoritari
“Non ha senso distinguere tra immigrati regolari, richiedenti asilo o clandestini”? “Esistono solo migranti”? Se si utilizza la parola “migrante” per indicare chi arriva nel nostro paese, contro le nostre leggi, si tratta di una scelta lessicale. Ma non cambia il fatto che egli è un clandestino, salvo che gli venga riconosciuto il diritto di asilo perché oggetto, per esempio, di persecuzioni politiche, etniche o religiose.
Una cosa è essere invitati a vivere in casa di qualcuno, un’altra è essere ospitati temporaneamente da brave persone perché un’alluvione o un terremoto ci ha distrutto la casa, un’altra cosa ancora è arrivare senza invito e contro la volontà dei padroni di casa perché nella nostra abitazione non riusciamo a vivere come vorremmo. Si tratta di una constatazione dura e sgradevole, ma rimane un dato di fatto. E storicamente noi italiani, come emigranti, ci siamo confrontati con questa realtà. In particolare, nel caso di quelli che arrivano contro la nostra volontà, accade sovente che il viaggio per entrare attraverso una finestra o un buco nel muro, anziché attraverso la porta principale, si riveli pericoloso e durissimo. Tuttavia, il fatto che costoro rischino la vita, giungano stremati e siano bisognosi di soccorso non cambia il fatto che comunque lo facciano contro il nostro volere. E, per ognuno di quelli che affrontano quel percorso perché non hanno altra scelta (in quanto realmente perseguitati e in reale pericolo di vita se restassero nel loro paese), ve ne sono molti altri che scelgono la stessa strada solo per ragioni economiche o per cercar fortuna, accettandone deliberatamente i rischi.
Provenire da un paese che non è democratico o con un tenore di vita più basso del nostro non conferisce automaticamente i requisiti per avere diritto all’asilo. Tanto per non restare in termini astratti: in Marocco o in Senegal non ci sono conflitti armati o scontri interetnici, e neppure catastrofi naturali o carestie. Eppure questi due paesi sono tra i principali punti di partenza di migranti verso l’Italia. In passato altre nazioni hanno vissuto tragedie umanitarie che, però, oggi si sono risolte; eppure, chi è entrato da noi, a buon diritto, come profugo, finisce per restare in maniera permanente, anche quando l’emergenza è cessata. Valutiamo, allora, se è lecito continuare a chiudere due occhi su questo tema.
Accogliere i perseguitati che non hanno reali alternative per la propria salvezza è parte del nostro ordinamento, oltre che un dovere di civiltà, quindi dobbiamo cercare di far fronte a questo compito, per quanto possibile e al meglio delle nostre capacità. Per contro, permettere di restare sul nostro territorio a chi non ne ha diritto è una scelta che possiamo fare o no, sulla base di molte considerazioni, tra la quali, debbono rientrare anche le esigenze interne alla nostra società. In ogni caso, quello che è certo è che la nostra capacità di accoglienza è limitata ed è molto inferiore rispetto alle richieste. Quindi, se scegliamo di continuare a consentire la permanenza sul nostro territorio a chi non ne ha diritto o bisogno immediato, togliamo posto e capacità di accoglienza per coloro che sono veramente senza alternative. Di fatto, scegliere di non affrontare la questione ci impedisce di salvare chi ne ha veramente bisogno. Questo non significa peccare di buonismo eccessivo, ma di criminale negligenza.
Facciamo un esempio concreto: i profughi siriani. Se volessimo veramente soccorrerli, per prima cosa dovremmo aprire centri di riconoscimento o distaccamenti delle nostre rappresentanze consolari ai valichi di frontiera della Siria con i paesi confinanti che si trovano fuori dal conflitto: escludendo, per ovvie ragioni, Iraq e Israele diciamo, quindi, Turchia, Libano e Giordania (dove, peraltro, si trovano già alcuni milioni di siriani come sfollati). Lì, fuori dalle zone di guerra, i profughi potrebbero direttamente richiedere il visto per l’ingresso nel nostro paese e, se volessimo essere realmente solidali, li trasporteremmo in sicurezza nel nostro paese per via aerea a una frazione del costo che, invece, quei disperati devono pagare ai trafficanti di uomini per un viaggio disumano tra deserti e carrette del mare.
Invece preferiamo agire in modo più ipocrita e molto più costoso, ovvero: accogliamo “umanitariamente” tutti, a condizione che siano riusciti ad attraversare il Mediterraneo a proprie spese e a proprio rischio. E, dopo che hanno versato migliaia di euro a mafie di ogni tipo per arrivare stremati (sempre che arrivino vivi), li soccorriamo in mare, mantenendo ininterrottamente, ormai da anni, una costosissima operazione navale. Non si tratta neanche di organizzare un ponte aereo o dei voli charter: per un qualsiasi turista, il volo low cost dalla Turchia costerebbe qualche decina di euro, e noi, per fornire il nostro aiuto, li obblighiamo a spenderne varie migliaia. Il vantaggio è che, così facendo, ne arrivano (vivi) molti meno. E, siccome siamo buoni e pieni di spirito umanitario, solo a quel punto li salviamo dalle acque, li curiamo e li rifocilliamo e poi li inviamo ai centri di riconoscimento sul nostro territorio per valutare chi abbia titolo per restare. Peccato che non abbiamo la capacità di accoglierli, anche perché qualcun altro occupa già il loro posto e non siamo capaci di liberarlo a loro favore. Ma è qui che arriva il capolavoro di stupidità e ipocrisia: ovvero, le “regole” comuni che abbiamo convenuto tra paesi dell’Ue.
I paesi del Nord Europa sanno di essere la meta preferita per la maggior parte dei migranti e, quindi, sono riusciti a far passare un trattato che impone al primo stato in cui vengono identificati di accoglierli come richiedenti asilo. Così, scaricano il problema sui paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dove i migranti sbarcano o vengono trasportati dopo il salvataggio in mare: primo scaricabarile. A loro volta, i paesi mediterranei approfittano delle difficoltà organizzative nel gestire grandi flussi di persone per risultare incapaci di schedarli tutti e, spesso, perfino di trattenerli nei centri di accoglienza, così che i disperati possano continuare il loro viaggio verso Nord: secondo scaricabarile.
A questo punto, i paesi del Nord mangiano la foglia, sospendono il trattato di Schengen sulla libera circolazione e chiudono le frontiere interne all’Ue per impedire l’ingresso ai migrati che, così, restano “bloccati” nei primi paesi di arrivo: terzo scaricabarile. Infine, quando il “giochino” entra in crisi, perché i migranti iniziano a dirigersi via terra verso il Nord Europa attraverso la Turchia e i Balcani, evitando il Mediterraneo, decidiamo di dare qualche miliardo al dittatore islamista turco Recep Tayyip Erdoğan per fare da gendarme e bloccare tutti i siriani in casa sua: quarto scaricabarile (a pagamento). Questa, in estrema sintesi, è la politica dell’Ue, sempre che la si possa chiamare così. A fronte di questo, è legittimo chiedersi se non sarebbe più logico, più umano e più giusto un approccio diverso.
Sempre per restare su casi concreti, occorrerebbe fare mente locale a come la Svizzera aveva affrontato l’emergenza umanitaria dei profughi provenienti dal Kosovo a cavallo del 2000. In primo luogo, non attese che i migranti arrivassero alla frontiera elvetica, ma li recuperò dai campi profughi in altri paesi. Poi si fece carico di un numero di persone considerevole in rapporto alla popolazione svizzera e, nonostante questo, assicurò a tutti una dignitosa sistemazione. Tutto qui? No, perché, un paio di anni dopo, il Kosovo è diventato uno stato indipendente, la guerra è finita e inizia la ricostruzione: a questo punto la Confederazione elvetica dice ai rifugiati che il pericolo è cessato, non è più necessario che restino come rifugiati in un paese straniero e possono quindi accomodarsi fuori dalla Svizzera per ritornare a casa loro. I patti sono chiari: ti accolgo come rifugiato per salvarti, e lo faccio fino a pericolo finito. Se ho bisogno d’immigrati, invece, il percorso è un altro: scelgo io quanti, da dove, con quali qualifiche e per quali lavori. In base alle esigenze della mia comunità.
I paesi del mondo e i popoli presso i quali esistono, contemporaneamente, pace, libertà, democrazia e prosperità economica, sono ancora una piccola minoranza sul totale dell’umanità. È bello che esistano, per essere in grado di dare asilo a chi ne ha bisogno, per sostenere anche finanziariamente i progetti di cooperazione e per fornire un modello cui altri possano ispirarsi nel proprio progresso. Ma queste poche e preziose società felici non esistono per un caso del destino. Benessere e democrazia, una volta conquistati, non sono assicurati automaticamente in eterno: mantenerli è un lavoro continuo e senza fine; in mancanza di cure costanti, la pianta avvizzisce. Allora, se vogliamo che questi tipi di comunità continuino a esistere, non possiamo pretendere che trascurino le proprie esigenze interne. Piaccia o no, per ogni stato esistono dei numeri oltre i quali l’accoglienza di nuovi arrivati non è più compatibile con il mantenimento in vita e in salute della società e delle sue conquiste.
Il Buon Samaritano. Per la nostra cultura, il concetto di aiuto gratuito e disinteressato al prossimo nasce con il cristianesimo e in particolare con la parabola del Buon Samaritano. È lui il primo a farsi carico del diverso, dello straniero, addirittura appartenente a un popolo nemico. Lo trova ferito e lo soccorre, cura le sue piaghe, lo trasporta sul suo asino fino alla locanda più vicina, paga l’oste di tasca sua per assicurargli vitto e alloggio fino alla guarigione. Ma non risulta che lo porti a vivere, stabilmente, in casa sua.
Per leggere i precedenti interventi, clicca su: Islam e valori occidentali? Incompatibili e I falsi luoghi comuni buonisti. Parte 1: “Cittadini e stranieri hanno uguali diritti”.
Leonardo Maria Wagner
(LucidaMente, anno XI, n. 131, novembre 2016)
Non solo la Svizzera tolse il diritto d’asilo ai rifugiati kosovari nel 2001, pure l’UK lo fece qualche anno piu tardi, ma, soprattutto, il circa mezzo milione di rifugiati kosovari ospitati in Albania e Macedonia durante il conflitto tornarono immediatamente dopo che le truppe serbe lasciarono il Kosovo.
Ma non è contraddittorio scrivere: Se si utilizza la parola “migrante” per indicare chi arriva nel nostro paese, contro le nostre leggi, si tratta di una scelta lessicale. E, poi, ammettere che, facendo parte della UE, abbiamo sottoscritto il famigerato accordo di Dublino? Se questo punto non viene superato e non si indica un iter politico da seguire, mi pare che le considerazione fatte da Lei sia solo sfogo descrittivo.