Spesso criticato come sperpero di risorse, l’utilizzo dei finanziamenti Ue è uno specchio del sistema-Italia. Piccole riflessioni per possibili miglioramenti
Fondi strutturali, Fondo di coesione, Life, Horizon, Cosme… Si potrebbero elencare tutti, i fondi europei, distinguerne le tipologie e descrivere minuziosamente i relativi meccanismi di utilizzo. La verità, però, è che districarsi nel mare magnum dei finanziamenti dell’Unione europea è opera ardua. Ancora più ardua se all’effettiva difficoltà di reperire informazioni, si somma il generale senso di sfiducia che aleggia sulle istituzioni europee. E tra gli scandali sullo spreco dei fondi, si perde di vista il fatto che potrebbero essere risorse preziosissime per la ripresa del Belpaese.
I nodi che inceppano l’utilizzo dei finanziamenti europei riguardano sia i fondi strutturali, amministrati dagli Stati e dalle Regioni attraverso Piani operativi, che i fondi diretti. I primi servono tanto per sostenere la realizzazione di infrastrutture e di investimenti produttivi nelle imprese (Fesr – Fondo europeo di sviluppo regionale), quanto per promuovere la formazione e riconversione professionale dei lavoratori (Fse – Fondo sociale europeo). I secondi, come Life, Horizon e molti altri, sono gestiti direttamente dalla Commissione e servono a finanziare progetti in settori chiave come ambiente, sviluppo tecnologico, e innovazione. Nonostante sia un dato certo che nel settennato di programmazione 2007-2013 i fondi strutturali siano andati incontro a continui ritardi di spesa, è doveroso soffermarsi su aspetti specifici. È bene innanzi tutto volgere al problema uno sguardo settoriale: il rendimento peggiore, infatti, è quello dei programmi che riguardano la realizzazione di lavori pubblici. A fine 2014, Il Pon (Programma operativo nazionale) Reti, gestito dal Ministero delle Infrastrutture, era fermo al 51% della spesa e ha tutt’oggi 897 milioni di euro non spesi. Il problema è che questo fenomeno, presente in tutta Italia, ha conseguenze determinanti nella differenza tra Nord e Sud del Paese.
Sul totale della programmazione, infatti, i lavori pubblici pesano molto di più nelle regioni meridionali (50%) rispetto al Centro-Nord (19,8%), penalizzando enormemente le prime. Mentre al Settentrione molti degli incentivi vengono concessi a imprese che li adoperano con maggiore efficacia, al Sud essi si perdono in mille rivoli. Lentezza burocratica, certo, ma anche mancata disponibilità del cofinanziamento nazionale e una pluralità di soggetti, che possono far pensare al malaffare. Non a caso, forse, le Regioni Campania, Calabria e Sicilia hanno avuto i peggiori risultati.
Quel che è certo è che ancora una volta l’Italia si deve ingegnare per non perdere i fondi stanziati dalla Commissione. I “progetti sponda” nascono proprio per “salvare” le risorse destinate a grandi piani che si sono poi rivelati infattibili. Nel momento in cui arrivano i soldi, inoltre, essi sono in fase già avanzata, e stanno usufruendo di altre risorse nazionali. In questo spreco generalizzato un aspetto sembra avere un peso determinante, e cioè la mancanza di competenze specifiche in materia. Da una parte la falla è strettamente politica, per la tendenza tutta italiana ad inviare a Bruxelles persone “amiche” piuttosto che professionisti. Dall’altra sono i nostri imprenditori a peccare di inadeguatezza: sul fronte dei fondi diretti, ad esempio, l’Italia è il Paese che scrive più progetti, ma è anche quello che ne vince meno. Spesso essi sono redatti senza metodo e senza logica, imprescindibili, entrambi, per la riuscita di un piano che dovrebbe affrontare dai 3 ai 5 anni di incentivi.
Quale sia “il” problema è difficile da dire. L’Unione europea si è impegnata molto per migliorare i propri punti deboli: l’attuale periodo di programmazione stanzia infatti risorse più mirate, ricerca un’azione sinergica tra i diversi finanziamenti e semplifica le procedure per la partecipazione ai bandi. Ora toccherebbe all’Italia sapersi evolvere. È per questo che nel nostro piccolo ci facciamo alcune domande. Come mai – ad esempio – l’Ue è oggi reticente a finanziare ancora le grandi opere, e per l’Italia di Tav ed Expo, esse sono ancora un cavallo di battaglia? Oppure: come mai “Europa 2020” ha tra i suoi obiettivi principali lo sviluppo ecosostenibile, e l’Italia dello Sblocca-Italia punta tanto sullo sfruttamento del territorio? Per evitare che l’Europa si riduca a mera espressione è necessario un intento comune che non sia soltanto economico. È necessario uniformare gli orientamenti politici e sociali. Come dicevamo, appunto, spetta all’Italia volersi e sapersi evolvere.
Federica Mascetti
(LucidaMente, anno X, n. 111, marzo 2015)