“Regression” e “The Visit” confermano alcune doti e “tocchi” stilistici dei due registi, ma sono ben inferiori ad altre loro opere
Diciamo subito che non ci entusiasmano i film con le didascalie iniziali che ci informano che si tratta di una storia vera o ispirata a fatti realmente accaduti e con quelle finali che ci dicono che poi è finita in una tal maniera… E neanche le opere cinematografiche che usano le tecniche del found footage movie, cioè della finta ripresa amatoriale/documentaria, come The Blair witch project, Cloverfield, Esp, Paranormal Activity, Rec, ecc., e (inutili) sequel.
Eppure nei nuovi thriller, attualmente proiettati nelle sale italiane, di due ottimi registi quali Alejandro Amenábar e M. Night Shyamalan sono presenti proprio le succitate modalità. Regression del primo si apre e si chiude con (lunghe) didascalie; The Visit del secondo adopera (anche) per lunghi tratti la finzione del video girato dai protagonisti del film. Perché abbiamo scelto di trattare le due opere in una sola recensione? Intanto, i due registi hanno in comune un elemento biografico. Amenábar nasce nel 1973 a Santiago del Cile e, a causa della dittatura di Augusto Pinochet, l’anno dopo i suoi genitori riparano in Spagna. Oggi è considerato uno dei maggiori cineasti del paese iberico e Regression è una coproduzione Spagna-Usa. Shyamalan viene dato alla luce nel 1970 in India per scelta dei genitori, già da tempo residenti in Pennsylvania, ma dopo poche settimane viene condotto negli Usa. È da sempre cittadino americano e negli States ha girato tutti i suoi film.
Al di là degli aspetti di contorno, i due artisti si sono sempre caratterizzati per i loro originali tocchi stilistici. Lo spagnolo ha alternato impegnative opere dalle tematiche “laiche” come Mare dentro e Agora (dedicato a Ipazia) a “horror” con atmosfere ed esiti sorprendenti (da Tesis, fulminante opera prima, al premiatissimo The Others con Nicole Kidman). Shyamalan si è distinto per l’originalità delle ambientazioni e delle trame e gli scioglimenti spiazzanti delle vicende narrate (il celebre Il sesto senso, Unbreakable, The Village, Lady in the water, E venne il giorno).
Lasciando allo spettatore l’intero piacere di gustarsi i due film, diciamo solo che Regression parla di casi di satanismo in una piccola comunità del Minnesota, con annesse violenze sessuali e omicidi. Tocca al detective Bruce Kenner, interpretato da Ethan Hawke, sbrogliare la matassa. The Visit è incentrato sulla permanenza della quindicenne Rebecca (che si diletta a fare riprese video) e del tredicenne Tyler (aspirante rapper) presso la grande casa di campagna dei nonni materni, mai conosciuti in precedenza, mentre la mamma si concede lo svago di una crociera con un nuovo compagno. La situazione andrà assumendo aspetti sempre più inquietanti.
Amenábar conferma la sua tendenza ad avvicendare il soprannaturale e l’orrore alla critica laica e razionale. In Regression le due tematiche si fondono, con la prevalenza finale della ragione. Shyamalan riafferma la sua bravura nel costruire effetti-sorpresa disorientanti per lo spettatore. E potremmo interpretare il suo film come un’allegoria della nostra società occidentale contemporanea, con gli anziani rincoglioniti, ma ricchi e “garantiti”, le generazioni di mezzo “sballate” (con le donne “sgallettate”) e i giovani destinati a essere le vittime sacrificali di questo andazzo. Tuttavia, nel passato, entrambi i registi han fatto di meglio. Tutti bravissimi attrici e attori di The Visit. In Regression, sopra le righe, eccessivo, come al solito, Hawke; deliziosa l’ambigua Emma Watson, ma un po’ monocorde. Però, forse, i loro personaggi richiedevano proprio questo.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno X, n. 120, dicembre 2015)