Breve storia del popolo curdo sottoposto a continue discriminazioni negli ultimi secoli e ora coraggiosamente impegnato nella resistenza contro le truppe dell’Isis
Circa tremila peshmerga curdi delle Unità di protezione del popolo (Ypg), supportati dai miliziani dell’Esercito libero siriano, stanno resistendo da oltre un mese nella città di Kobane agli attacchi delle truppe dell’Isis (vedi Una tetra bandiera sventola in Medioriente). Diecimila soldati turchi al confine con la Siria osservano i combattimenti senza intervenire per spezzare l’assedio: il loro governo sembra “tifare” per le “armate nere” del califfo Abu Bakr al-Baghdadi, presumibilmente a causa della storica contrapposizione del popolo curdo alle autorità di Ankara.
L’etnia curda conta circa 35 milioni di individui che vivono principalmente nel Kurdistan, un vasto altopiano mediorientale – ricco di petrolio – frazionato tra Armenia, Iran, Iraq, Siria e Turchia. I curdi parlano una lingua iranica articolata in due dialetti maggiori (kurmanji in Turchia, sorani in Iraq) e professano quattro distinte religioni (alevita, cristiana, sunnita, yazidica). Alcune fonti sostengono che essi discendano dai Carduchi, gli abitanti del regno di Corduene citati da Senofonte nell’Anabasi, altre invece fanno derivare le loro origini dai Gutei, antica stirpe mesopotamica, o dai Medi, il popolo iranico che nel VI secolo a.C. costituì un vasto impero tra la Cappadocia e la Battriana. I curdi si convertirono all’Islam nel VII secolo d.C. e fondarono degli emirati autonomi. Sembra che di tale origine fosse Salāh al-Dīn, il grande sultano ayyubbide che nel 1187 tolse Gerusalemme ai cristiani. Nel 1514, in seguito alla vittoria turca nella battaglia di Čāldirān, il Kurdistan fu diviso tra l’Impero ottomano e il regno iraniano dei Safavidi. La spartizione venne poi formalizzata dal Trattato di Zuhab (1639) e durò fino all’inizio del Novecento.
Il Trattato di Sèvres (1920) sancì la dissoluzione dell’Impero ottomano e impose alla Società delle nazioni la formazione di uno stato indipendente. L’ostruzionismo della Repubblica turca di Kemal Atatürk impedì, però, la nascita della nazione curda e nel 1923, col Trattato di Losanna, il Kurdistan venne smembrato tra cinque Stati. Nel 1946 Mustafa Barzani fondò il Partito democratico del Kurdistan (Pdk) e, grazie al sostegno militare dell’Urss, costituì in Iran l’effimera Repubblica popolare di Mahabad. L’anno seguente il piccolo stato fu occupato dall’esercito dello scià di Persia Mohammad Reza Palhavi, che ne fece giustiziare il presidente Muhammad Qazi. I curdi iraniani continuarono a opporsi allo scià fino alla sua caduta (1979), ma le discriminazioni nei loro confronti proseguirono anche sotto il regime khomeinista.
La popolazione curda fu a lungo oggetto di persecuzioni anche in Iraq. Negli anni Ottanta del secolo scorso i curdi iracheni tentarono di liberarsi dal giogo di Baghdad, potendo contare sull’appoggio degli ayatollah iraniani in guerra col regime di Ṣaddām Hussein. Il dittatore iracheno non ebbe scrupoli a servirsi delle armi chimiche – frettolosamente concessegli dagli alleati occidentali – contro gli abitanti della città di Halabja, sterminando circa cinquemila curdi (vedi Kendal Nezan, Quando l’“amico” Saddam gasava i kurdi, in www.monde-diplomatique.it). Il conflitto proseguì fino alla caduta del regime saddamista (2003), grazie soprattutto all’impegno dei due principali partiti curdi dell’Iraq – il Pdk e l’Unione patriottica del Kurdistan (Upk) – i quali tuttavia vissero anche momenti di grave tensione intestina culminati, nei primi anni Novanta, in una guerra civile. Dopo il 2005 il Kurdistan iracheno è assurto a regione autonoma retta da Masʿūd Bārzānī, leader del Pdk, mentre Jalal Talabani e Fūād Maṣūm, dirigenti dell’Upk, si sono avvicendati nella carica di presidente della Repubblica federale irachena.
Gli oltre 15 milioni di curdi residenti in Turchia cominciarono a battersi per l’indipendenza quando il loro Partito dei lavoratori (Pkk) – fondato nel 1978 da Abdullah Öcalan – entrò in rotta di collisione col regime militare turco, al potere dal 1980. I contrasti armati, però, proseguirono anche dopo che ad Ankara fu restaurato un governo civile (1984). Nel 1999 Öcalan venne arrestato e subì una condanna all’ergastolo da scontare a Imrali, un’isoletta del mar di Marmara: il Pkk si sciolse e dalle sue ceneri sorse il Congresso per la libertà e la democrazia nel Kurdistan, che nel 2003 rinunciò al separatismo. Le ostilità ripresero tuttavia l’anno seguente, quando si ricostituì il Pkk: da allora si sono intervallati scontri militari e tregue, l’ultima delle quali proclamata nel 2013. I morti complessivi del conflitto tra curdi e turchi ammontano a circa quarantamila, ma recentemente si è avviato un dialogo tra le parti che lascia intravedere spiragli di pace duratura.
Una minoranza curda esiste pure in Siria, dove è rimasta a lungo ai margini della vita politica nazionale. Nel 2004 è scoppiata nel Kurdistan siriano una rivolta contro il regime di Baššar al-Asad, fomentata soprattutto dal Partito dell’unione democratica (Pyd) ideologicamente vicino al Pkk. Il Pyd ha reclutato le truppe dell’Ypg che in questi mesi stanno combattendo la battaglia decisiva contro le forze dell’Isis, dalla quale dipendono le sorti future del Medioriente. Tra i soldati impegnati nella difesa di Kobane ci sono anche tante donne che si stanno rivelando molto preziose nella resistenza contro le milizie jihadiste. La vittoria degli indomiti peshmerga consentirebbe di scongiurare il pericolo rappresentato dall’estremismo sunnita, ma potrebbe altresì gettare le basi per la nascita di uno stato curdo indipendente.
Le immagini: una cartina del Kurdistan; una veduta della città di Halabja (fonte: http://en.wikipedia.org; autore: A Halabja); donne curde impegnate nella difesa di Kobane (fonte: www.femaleworld.it).
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno IX, n. 107, novembre 2014)