Il fascino delle leggende consiste nel fatto che esse nascono sempre da qualcosa di vero e il bello nel tramandarle è che ogni volta ne escono ancora più arricchite e misteriose. La storia di Guendalina arriva fino a noi dal lontano 1375 e non ne vuole sapere di farsi dimenticare, così come la presenza e i lamenti della fanciulla tuttora non cessano di angosciare l’unica dimora in cui ha abitato.
Guendalina era una bella bimba di otto anni, figlia di Ugolinuccio Malatesta, signore del Castello di Montebello, nel Riminese. Aveva avuto la fortuna di nascere benestante e di godere di immensi spazi in cui giocare ma, a questo, si era aggiunta una delle disgrazie più grandi che potessero accadere in quel periodo: era albina. I suoi capelli erano colore del latte e la sua pelle era talmente chiara che si poteva vedere il sangue scorrere nelle vene. Questa non era una buona notizia in tempi in cui simili particolarità erano guardate con sospetto e giudicate opere di stregoneria e, quindi, frutto del demonio. La madre, preoccupata per la sorte della sua bambina, prese a tingerle i capelli di nero nel tentativo di dissimulare la malattia e sottrarla a cattive intenzione. Non sapeva, però, che la tipica chioma degli albini non trattiene a lungo la tinta. Infatti, il nero pece, colando, donò ai capelli di Guendalina un particolare riflesso turchese. Da quel giorno nacque per lei il nomignolo di Azzurrina.
Il 21 giugno 1375 non era la solita bella giornata: un temporale estivo infuriava sul castello e sulla piana circostante. Azzurrina si trovò costretta a trascorrere le ore all’interno della fortezza, tra innumerevoli corridoi di pietra e spifferi portati dal vento: ingannava il tempo con una palla di stracci e spaghi, sotto lo sguardo annoiato dei due armigeri che, per volere del padre, la sorvegliavano e proteggevano. Durante il gioco la palla scivolò via, correndo giù per la scalinata che portava ai sotterranei e alla ghiacciaia. La bimba scese lungo il cunicolo nell’intento di recuperarla. Un attimo dopo le guardie sentirono un grido, poi più nulla: ogni tentativo di ritrovarla fu inutile. Il castello e l’intero borgo furono setacciati per giorni e giorni, ma Azzurrina era scomparsa: i suoi resti e la palla con cui stava giocando non furono mai ritrovati.
Da quel giorno si racconta che, durante la notte del solstizio d’estate, negli anni che finiscono per 0 o 5, al Castello di Montebello appaia il fantasma di Azzurrina. Chi ha sentito i suoi strazianti lamenti giura stesse piangendo e chiamando la mamma. Dagli anni Novanta, persino un team di parapsicologi del Laboratorio interdisciplinare di ricerca biopsicocibernetica di Bologna si interessa alle apparizioni: ogni cinque anni si recano alla fortezza e, nell’angusto corridoio di pietra in cui Azzurrina ha riso per l’ultima volta, installano sofisticate apparecchiature per catturare ogni minimo rumore.
In questa nottata il castello viene sigillato per evitare intrusioni che inquinerebbero il prodotto finale. I suoni incisi sui nastri, quindi, sono prodotti esclusivamente in quella stanza. Tutte le registrazioni effettuate dagli esperti nel corso degli anni vengono fatte ascoltare ai visitatori: un temporale, pianti e lamenti, dodici rintocchi di campane, il battere veloce di un cuoricino, i rimbalzi della palla, un urlo breve e disperato. Sarà la frescura dei sotterranei che fa rabbrividire, sarà l’immagine di Azzurrina posta immediatamente sopra la botola in cui sparì, sarà l’ululato del vento o sarà il singhiozzo sommesso di una bimba sola, ma l’effetto che produce è certamente angosciante.
Ma la leggenda non termina qui. C’è chi la racconta con un finale diverso: i due armigeri, sentendo Azzurrina gridare, sarebbero accorsi nella ghiacciaia e avrebbero trovato il corpicino della bimba disteso a terra, immobile. Temendo la reazione del padre, l’avrebbero sepolta nel giardino del castello, raccontando a tutti che era scomparsa. In realtà, Azzurrina non era morta ma solo priva di sensi: sarebbe stata sepolta viva e, al suo risveglio con due metri di terra sopra di lei, avrebbe pianto e chiamato “mamma” invano, fino al sopraggiungere della morte.
Ancora oggi il Castello di Montebello attira centinaia di curiosi e turisti ogni anno, nonostante sia parzialmente non accessibile, in quanto dimora privata, e nonostante la visita non sia libera ma guidata. Le reazioni dei visitatori al racconto di Azzurrina e all’ascolto dei suoi gemiti sono le più disparate: c’è chi ci crede e chi no, chi prega per la pace dello spirito della bimba e chi invece fa spallucce, c’è chi si sente male per lo stupore e c’è chi perde la pazienza sentendosi preso in giro. Tutti, però, avvertono quel senso di inquietudine e agitazione tipico di quando ci si trova di fronte a qualcosa di indecifrabile. L’ignoto fa ancora molta paura, proprio perché nel “non conoscere” è insita l’ipotesi che tutto ciò sia possibile.
L’immagine: quadro con l’immaginario volto di Azzurrina.
Jessica Ingrami
(LM MAGAZINE n. 12, 20 agosto 2010, supplemento a LucidaMente, anno V, n. 56, agosto 2010)