Per il proprio omonimo esordio la band bolognese sceglie vocalità sofisticate e un inconsueto, curioso congegno musicale
È il più antico strumento musicale (se così si può definire) elettronico. Si tratta del theremin: diabolico, magnetico, inquietante (non vi è alcun contatto fisico tra tale folle “macchina” e chi la suona). La sua insolita presenza in brani come l’ipnotico N. o il “liquido” Migrating Whales (vediamo davvero le balene nei loro lunghi viaggi attraverso gli oceani) giustifica da sola l’ascolto del disco.
E questo disco è l’esordio di un più che promettente e tutt’altro che inesperto gruppo bolognese: i Pristine Moods. La loro omonima opera prima, con copertina dall’indecifrabile raffigurazione, vedrà la luce il 27 marzo 2015 per l’etichetta I dischi del Minollo. Tutto nasce allorquando Matumaini (alias Laura Masi: voce, ukulele, mandolino, banjo), dopo essersi impegnata presso varie band quali Minor Swing Quintet, Elanoir, DHOS, decide di incidere il proprio repertorio di brani folk, chitarra e voce. I suoi “complici” saranno Gherardo Zauber (basso e, appunto, theremin) e il giovane Michele Venturi (voce e talentuosa chitarra acustica – si ascolti quel piccolo capolavoro di soli suoni che è RWD). Pristine Moods è un lavoro che nasce già “classico”, antimoderno, quasi volesse esorcizzare la frenesia folle della nostra epoca con del sano, vecchio country, folk o blues, mescolati a un pizzico di aristocratica raffinatezza.
Tanto per capirci, la voce e la sensibilità di Matumaini ricordano a tratti quella di Joni Mitchell, e tuttavia assumono una delicatezza e delle modulazioni personalissime. Ad esempio, ci si delizi con la splendida, aerea, Confusing; o con la seconda traccia del cd, Mandala: trasognata, nostalgica, con la perfetta fusione della voce femminile e delle sonorità musicali, è in grado di rapire l’ascoltatore, trasportandolo in un altrove indeterminato. Che, però, in ultima analisi, è la stessa vita. E, come detto all’inizio, a completare la ricercatezza e l’eleganza sofisticata un po’ retrò, c’è il theremin, peraltro utilizzato da Hollywood per alcune celeberrime colonne sonore, dai classici horror o fantascientifici all’Alfred Hitchcock di Io ti salverò (1945) e alla sequenza finale di Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) di Miloš Forman. A inventarlo nel 1919 fu il fisico sovietico da cui prende il nome, Lev Sergeevič Termen (francesizzato Leon Theremin, 1896-1993). Longevo, enigmatico personaggio, per di più perseguitato dallo stalinismo, e non solo: i suoi strumenti sperimentali furono più volte distrutti nel corso di misteriosi attentati, l’ultimo dei quali un anno prima della sua morte.
Infine, la spiegazione del nome della band. Si tratta di un omaggio al creativo chitarrista folk statunitense Robbie Bǎsho (1940-1986), che teorizzava l’associazione di ogni accordatura a un colore e a una sensazione. Il Pristine White è un colore/mood legato a un accordo utilizzato in alcuni brani dell’album. Ecco, quindi, la nascita dei Pristine Moods (cioè “spazi d’animo incontaminati”). Del resto, afferma la Masi, «ci piace immaginare il disco come uno di questi spazi incontaminati, come quegli audiolibri di favole che ti regalavano da bambini. Attraverso un’atmosfera fiabesca cerchiamo di tornare un po’ indietro, perché da bambini si vedono le cose in maniera più semplice e giusta e allo stesso tempo si sogna». Tanto. Come coi Pristine Moods.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno X, n. 111, marzo 2015)
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