A distanza di 36 anni, le ragioni dell’attualità del celebre primo album della band inglese
In fondo, tutti quanti noi puzziamo ancora di spirito adolescenziale. Perché i giovani non sono mai cambiati. Del complesso insieme di problemi che rappresentano l’adolescenza, nulla si è perso e nemmeno attenuato. Non tanto nelle idee, quanto nello spirito, i giovani sono ancora in rivolta contro tutti, insoddisfatti del tempo, chiusi dentro le loro stanze a piagnucolare o, in alternativa, dentro vecchi garage a improvvisare canzoni nel tentativo di costruire qualcosa di nuovo.
Il 28 ottobre 1977 viene pubblicato in Inghilterra Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols, destinato a diventare uno dei più controversi album della storia del rock. Dopo aver subito il rifiuto di due importanti case discografiche, la Emi e la A&M, i Sex Pistols sono miracolosamente salvati dalla Virgin, che si assume la responsabilità e la fatica di gestire quattro belve impazzite e armate di strumenti musicali. Già famosi in moltissime città inglesi, Sid Vicious e compagni registrano le dodici tracce che andranno a costituire il loro primo e ultimo disco, sorta di compilation di quei pochi singoli che eseguono sempre dal vivo. Il risultato è un album brutale, spudorato, gridato e vomitato dal profondo della coscienza, semplicemente quello che viene considerato a livello universale come l’irripetibile capolavoro del punk.
Per citare le parole di Marco Simonetti, dalla sua esauriente recensione su www.ondarock.it, chi odia questo disco «fa il suo gioco esattamente come chi lo ama». In effetti, che lo si consideri una porcheria suonata male o un prodotto di genialità assoluta, Never Mind the Bollocks rimane un album con cui prima o poi bisogna confrontarsi per forza. Non solo all’epoca segnò un punto di svolta, rendendo palese al mondo intero che il rock del passato era morto e sepolto, ma gettò anche le basi per tutta la musica che sarebbe venuta dopo, compresa quella di oggi. Per la prima volta, infatti, dei ragazzi dimostravano che non era necessario essere dei virtuosi per suonare qualcosa di significativo.
Ma questa non è altro che l’eterna lezione del punk trita e ritrita. Never Mind the Bollocks era qualcosa di più, era rifiuto e disgusto per tutto ciò che gli anni Settanta avevano rappresentato, era nichilismo distruttivo, era una provocazione senza fine. Ancora oggi alcuni lo definiscono come «la grande truffa del rock n’roll», in riferimento al fatto che i Sex Pistols accettarono di farsi manovrare dal manager Malcom McLaren, interessato soltanto all’aspetto economico del fenomeno punk. Alla fine, però, i Pistols sfuggirono al controllo di chiunque e ribaltarono i ruoli: la loro vicenda si concluse non appena iniziata, esaurendosi come vittima di quella stessa filosofia del rifiuto totale che era stata esaltata dalla band.
Che senso ha oggi Never Mind the Bollocks? Forse nessuno. Eppure, senza questo disco sarebbe tutto diverso. In Italia, per esempio, non esisterebbero tutti quei gruppi indipendenti che con diversi stili e intenzioni hanno cantato e stanno cantando la crisi del Duemila. In generale, i giovani non avrebbero fiducia – e forse neanche consapevolezza – nel loro potere di cambiare le cose, di abbattere falsi miti, di rinnovare la cultura. Ma la verità è che i Sex Pistols risultano ancora tremendamente attuali. La crisi economica e morale della seconda metà degli anni Settanta non era poi tanto diversa da quella di oggi, che ci spinge a cercare dappertutto la novità ma allo stesso tempo a guardare con sospetto qualunque prospettiva differente.
Il proverbiale “no future” del punk è la sintesi e l’emblema di quel pessimismo che ci attanaglia tuttora, di quel nichilismo che da Friedrich Nietzsche in poi non ha mai abbandonato del tutto gli animi di noi occidentali. Così come nel 1977, anche adesso si respira un clima di nascente repulsione, o per lo meno di profonda stanchezza, per tutta la musica pop degli anni zero, che secondo molti ha clamorosamente fallito per non essere stata in grado di consegnare ai posteri dei valori morali autentici e giusti. Se è vero che Never Mind the Bollocks rappresenta tutto ciò, se è vero che fare casino e distruggere ogni cosa è anche un bisogno teneramente umano, allora è valsa la pena di commemorare la pubblicazione di questo incredibile album.
E, a proposito, di miti del rock, oggi ci ha lasciato un grandissimo (vedi Morto Lou Reed, poeta del rock. Il leader dei Velvet aveva 71 anni).
Gianluca Armaroli
(LucidaMente, anno VIII, n. 94, ottobre 2013)