Tra scienza medica e lirismo, la storia di una psicoterapia che sembra un romanzo: “La perla e la tartaruga” (Armando Editore) di Renzo Rocca e Giorgio Stendoro
È fresca di stampa la nuova opera di Renzo Rocca e Giorgio Stendoro, La perla e la tartaruga. Il caso di Sandro: la metodologia dell’incontro in psicoterapia (Armando Editore, pp. 240, € 20,00). Essa non è solo il “resoconto” di un complesso percorso di psicoterapia di un paziente e dell’abilità e della sensibilità del suo psicoterapeuta. Nella logica evolutiva della metodologia dell’incontro, è pure un sottile dialogo a due voci, un viaggio nella memoria e nell’inconscio di entrambi, in una narrazione nella quale si mescolano presente e passato, eventi, sintonie, tensioni, riflessioni, dubbi, slanci. Ricchissimi i riferimenti non solo alla letteratura medica psicologica, ma anche alla cultura, all’arte, alla musica, ai classici letterari. Così, nel complesso, il libro assume l’aspetto di un palpitante, umanissimo, sentiero verso una luce in grado di illuminare le folte asperità esistenziali e gli sterminati incroci della vita e dell’inconscio, ricomponendoli in una serena prospettiva epifanica. Completa il testo un utile Glossario finale.Di seguito offriamo al lettore uno stralcio (pp. 37-40) del libro: una seduta psicoterapeutica durante la quale emergono crudi ricordi del paziente, ma anche riflessioni e memorie del medico, nonché annotazioni paesaggistiche, che avvolgono l’evento entro un’aura poetica suggestiva e affascinante.
Siamo in seduta. Sono stordito da un senso di rilassatezza, nel vedere fuori dalla finestra la luce del tramonto simile ai quadri medioevali. La penombra cambia forma allo studio. Sandro è disteso sul divano. Si guarda intorno, come se dallo spazio che lo circonda potesse arrivare una soluzione. Con voce eccitata, dice:«Mi sento un fiume in piena… impegnarmi nel lavoro è coraggio… o arrendermi a un destino già deciso… ragionamenti del genere perché mi sono venuti in mente?…».

Immagino Sandro che si sporge dalla ringhiera di un ponte per vedersi come un fiume in piena ostacolato da enormi sassi. Sul momento, ho la sequenza di ricordi che segnalano le tracce di una esperienza. Vedo me stesso piccolo affacciarmi con spensieratezza e curiosità tra le sbarre della ringhiera del terrazzo di casa, per guardare giù nella strada, dove un uomo disegnava con il gesso un volto sul marciapiede. Rientrare era stata la cosa più naturale del mondo. Tirando indietro la testa, le orecchie erano diventate un ostacolo e io mi ero incastrato. Non ricordo se ho pianto. Per liberarmi erano intervenute, con calma, la mamma e la nonna. Da quel giorno, avevo imparato che il coraggio non andava confuso con l’incoscienza.
I momenti della vita legati all’infanzia rimangono unici e privilegiati nella memoria. Heimann affermava che «l’analista inserendo i propri pensieri e le proprie emozioni nella relazione con il paziente può capirlo meglio». Il compito di conoscere, corrispondente a un sentire, permette di gettare occhiate nei territori interni della persona che attraverso con il lavoro ogni giorno: molto mi dà, mi insegna e mi suscita la forza di agire per evitare il rischio di rimanere incapsulato in modo speculare al mondo interno del paziente.La rumorosa deglutizione di Sandro e il forte abbaiare di un cane mi riportano ad ascoltare la sua volontà narrativa.

De Moraes diceva che «la vita è l’arte dell’incontro».
Sandro, durante alcuni minuti di timido silenzio, mi guarda con una simpatia che vede lontano? Ho ascoltato il suo ingorgo di energie non staccate dal loro vestimento inconscio, le quali, sbarrando il presente fuori dalla porta, fanno entrare dalla finestra le derive del passato. Lascio a Sandro il tempo di decidere quando guardare dentro di sé la sorgente di molte conflittualità collegate fra loro. Sandro esce in anticipo dallo studio. Nel salutarmi sulla porta, dice: «Forse ho voglia di lottare… non credevo di trovare le parole per dirlo…». «Non è detto che sia un bene averle riferite sulla porta». «Perché?».«Ci vediamo la prossima volta, Sandro».
Fuori, lunghe scariche di folgori estive e rimbombi di tuoni riempiono di ragnatele il cielo come mai avevo visto. Pioggia di un temporale d’estate. La mattina avevo avuto una prima visita con una ragazza di ventitré anni, non vedente dalla nascita, che mi aveva detto:«Dopo un intervento chirurgico ho riacquistato la vista… per una che non ha mai visto vedere è stato come andare su un altro pianeta… non sapevo che un oggetto più era lontano più lo vedevo piccolo…».

Vorrei essere in un luogo diverso da quello in cui mi trovo. Trattenermi a osservare, pensare e pormi delle domande non è tempo sprecato. Il silenzio e una parte profonda di me regolano l’incontro, l’esserci veramente. Ho consapevolezza di questa responsabilità? A volte, quando leggo dei libri della mamma o della nonna, scopro frasi sottolineate da loro: «Molto ragionamento e poca osservazione conducono all’errore. Molte osservazioni e poco ragionamento conducono alla verità» (Carrel). Le vivo come se fossero delle parole che mi dicono. Il tempo trascorso con loro ha una qualità affettiva infinita, che rimane dentro di me orientandomi su sani valori morali.
Per la recensione – sempre comparsa su LucidaMente, a firma del nostro direttore Rino Tripodi – di un’altra opera dei due autori, il romanzo sulla violenza pedofila Una ferita aperta (Sovera Editore), si legga Il trauma dell’abuso: l’orrore e la rinascita.
Le immagini: la copertina de La perla e la tartaruga e i due autori con Carla Fracci e l’ex sindaco di New York Rudy (Rudolph) Giuliani.
(a.c.)
(LucidaMente, anno IX, n. 107, novembre 2014)