Al Convegno Il testamento biologico è un diritto, tenutosi a Bologna il 24 febbraio 2009, e di cui diamo un ampio resoconto nell’articolo di apertura del presente numero di LucidaMente, è intervenuto anche il nostro direttore Rino Tripodi, con una relazione dal titolo Il caso Humbert e la sensata soluzione legislativa francese. L’anomalia italiana. Riportiamo di seguito per intero il testo dell’intervento.
“Non è normale che, in un paese sedicente civilizzato, non siamo capaci di prendere in considerazione e rispettare la volontà di un malato, anche se urta le nostre sensibilità o le nostre convinzioni. La maggior parte dei nostri pazienti e i loro familiari sono degli adulti responsabili, che dobbiamo per lo meno ascoltare, e capire”.
“Dobbiamo sapere anche fermarci nella lotta contro la morte, con dolcezza e rispetto, quando si è provato troppo a prolungare la vita, e questa diventa indegna”.
“Parliamo, allora, della morte e dell’agonia. Guardiamole in faccia e chiediamoci come renderle più dolci, visto che sono inevitabili. Poniamo il paziente al centro di quel dibattito e vediamo che cosa sia meglio per lui. Nessun medico ama lasciar vincere la morte. Ma, quando vince, per quali ragioni non toglierle un po’ della sua crudeltà, se rientra nel nostro potere?
Io penso che la mia vita mi appartenga e che nessun altro, al di fuori di me, abbia il diritto di deciderne. Penso che anche la mia morte mi appartenga e che proverei sollievo, se le circostanze lo richiedessero e non fossi più capace di farlo io stesso, se un [altro] mi aiutasse ad affrontarla senza dolore, con riguardo e benevolenza”.
Tali parole – così come le altre citazioni presenti in questo testo – sono riprese da un bellissimo libro del 2004 del medico francese Frédéric Chaussoy, Je ne suis pas un assassin, che noi della rivista telematica di cultura ed etica civile LucidaMente (www.lucidamente.com), stimolati dal fervore di Christiane Krzyzyk e insieme all’associazione LiberaUscita, abbiamo avuto (da neoilluministi ma, evidentemente, anche neoromantici!) la bellissima, folle idea di tradurre nel 2007 grazie alla inEdition editrice di Bologna, che è altresì l’editore della rivista stessa.
Nella pubblicazione il medico francese parla della propria vicenda umana e professionale legata alla dolorosa vicenda del giovane Vincent Humbert. Quest’ultimo, pompiere volontario di diciannove anni, la sera del 24 settembre 2000 ha uno scontro frontale con un camion e dopo nove mesi di coma si sveglia tetraplegico, muto e quasi cieco, ma con intatte le sue capacità intellettive. Riesce a muovere soltanto il pollice della mano destra; nello stesso tempo, è costantemente dolorante. Ad assisterlo, la madre Marie.
Sei mesi dopo, non vi è più alcuna speranza di miglioramento delle condizioni del ragazzo e i suoi dolori e la sofferenza che di riflesso il proprio stato provoca sulla madre sono divenuti insostenibili per entrambi.
Grazie all’aiuto della madre stessa e di un’animatrice dell’ospedale, Vincent riesce a instaurare un sistema di comunicazione attraverso la pressione del pollice e, nonostante gli atroci dolori, riesce a scrivere una supplica al presidente Chirac – Le chiedo il diritto di morire – che scuote l’opinione pubblica e poi a dettare un libro con lo stesso titolo (pubblicato in Italia dall’editore Sonzogno). Lo aiuteranno – nel terzo anniversario dell’incidente (esattamente il 26 settembre 2003) – la madre Marie e il dottor Chaussoy, attraverso il “distacco” dei macchinari e la somministrazione di cloruro di potassio. Anche la madre, come il medico, sarà incriminata per concorso in omicidio, e, insieme a lui, verrà assolta dal giudice istruttore, anche se solo nel febbraio 2006.
Una storia drammatica e struggente, eppure dominata dall’umanità e dall’altissimo senso della dignità e della libertà umana, vista attraverso la commossa e sofferta rievocazione, attimo per attimo, da parte del medico che ha assistito il paziente nel suo percorso, nella scelta finale e negli ultimi attimi della sua vita. Insomma, una vicenda straziante e ricca di speranza al tempo stesso, che ha coinvolto la gente comune (100.000 copie vendute in Francia), la quale ha sostenuto massicciamente la scelta congiunta di paziente, madre, medico. Una storia simile per molti versi a quella vissuta da Piergiorgio Welby e dal dottor Mario Riccio, ma che, contrariamente al nostro Paese, ha permesso un avanzato e civile dibattito in Parlamento con una accettabile soluzione legislativa.
L’Ordine dei medici francesi, infatti, si era schierato subito a difesa del medico rianimatore, migliaia di colleghi avevano firmato una petizione a suo favore. Chaussoy aveva avuto il coraggio di dire e di agire alla luce del sole, dopo avere deliberato con tutta la sua équipe, ciò che avrebbe potuto fare da solo, senza riferirne ad alcuno. Nell’aprile 2005 il Parlamento francese deliberò definitivamente accordando il diritto ai medici “di lasciare morire”, di permettere l’interruzione di un trattamento o di rifiutare l’accanimento terapeutico, senza, peraltro, legalizzare l’eutanasia. Quel testo di legge era nato dall’emozione suscitata dalla morte di Humbert.
Il libro, su cui cominciammo a lavorare tra mille difficoltà (tra cui l’acquisizione dei diritti di traduzione) poche settimane dopo la scomparsa di Piergiorgio (20 dicembre 2006), uscì nel mese di ottobre 2007 col titolo italiano di Non sono un assassino. Il “caso Welby-Riccio” francese, introdotto da una prefazione dello stesso Mario Riccio.
Noi di LucidaMente avevamo “percepito” in anticipo, con una sorta di preveggenza, che un tema, che qualcuno all’epoca considerava e ancora oggi vorrebbe marginale e secondario, sarebbe divenuto un nodo centrale per la libertà, la giustizia, laicità, la stessa democrazia del nostro Paese. E, sebbene, dal gennaio 2006, in cui siamo nati, ad oggi, ci siamo occupati anche di emarginazione, inclusione/esclusione, immigrazione, democrazia, scienza, laicità, abbiamo quasi scelto come “cavallo di battaglia” il tema del testamento biologico.
Penso ci attendano mesi intensi. In ogni caso, questa battaglia, come quelle per divorzio e aborto, è ben più basilare di quanto potrebbe apparire. Non è solo un fatto “morale” e di diritti civili, secondario rispetto a disoccupazione, lavoro, ambiente, sicurezza, ecc. Può essere il grimaldello per risvegliare l’Italia e gli italiani dall’umiliante condizione in cui ci si è venuti a trovare. E’ fondamentale l’iniziativa politica ed è essenziale ritrovare una piena unità su questo tema da parte delle forze liberali, democratiche, progressiste, laiche. Il mio non è un auspicio: è un invito e una responsabilizzazione.
Bando alla mentalità della “rassegnazione alla sconfitta”, che serpeggia da un anno, bando soprattutto all’astensionismo di sinistra. Non era migliore la posizione da cui sono partiti Obama o Zapatero. Essi hanno dimostrato che si può vincere e si possono promulgare davvero leggi luminose, libertarie, solidali. A volte si tratta di spalancare porte aperte. Anche se gli italiani, grazie a decenni di rimbambimento mediatico, sembrano essere regrediti civilmente, culturalmente, moralmente…
Il nostro Paese, infatti, detiene oggettivamente pessimi record europei:
– maggior numero di morti sul lavoro;
– maggior numero di lavoratori precari;
– salari più bassi;
– maggior numero di lavoratori in nero;
– studenti meno preparati;
– minor numero di diplomati;
– presenza di almeno 3-4 organizzazioni mafiose;
– casta politica più sprecona e corrotta;
– più bassa natalità a causa dell’impossibilità di poter far nascere un figlio in una situazione di assoluta incertezza e paura per il futuro;
– costante ingerenza della Chiesa cattolica negli affari politici nazionali;
– informazione meno libera e oggettiva…
Siamo altresì l’unico Paese il cui presidente del Consiglio si può permettere di offendere il dolore di un padre affermando che quest’ultimo intende “liberarsi” della figlia in coma da 17 anni perché considerata una “scomodità” (sic!)”.
In ogni caso, il fine vita è l’unica situazione che tutti – come persone, come singoli – dovremo affrontare: si possono non avere problemi di lavoro, di sicurezza, di casa, ecc., ma chiunque incontrerà prima o poi la malattia, il ricovero, le terapie, il dolore, il fine vita (a meno di non essere invulnerabili e immortali…).
E’ un problema che riguarda anche quei medici che svolgono il proprio mestiere con umanità e sensibilità:
“Nessuno di noi ha ricevuto, durante i propri studi, la minima iniziazione al modo in cui uno può o deve affrontare la morte, annunciarla, prepararvi il moribondo e i suoi parenti…
Il primo – e unico – contatto con la morte che l’università propone ai futuri medici è spesso crudo e violento. Le sedute di autopsia dei corsi di anatomia sono quasi considerate come un’iniziazione delle matricole, una specie di rito di passaggio di cui si preferisce ridere per meglio rimuoverlo. Le guardiole echeggiano degli scherzi salaci e di cattivo gusto su quel momento faticoso che ci mette a contatto con la morte, nuda. Perché è più facile, e assai meno fastidioso, la medicina preferisce trattare il corpo, dimenticando l’anima. Un cadavere è molto meno imbarazzante se lo si guarda come un organismo senza vita, piuttosto che come un essere umano morto… […] Accadrà mai che, all’università, si insegni in che cosa consista un essere umano, nella sua globalità? Sarà possibile sensibilizzare a queste sottigliezze i futuri medici di cui imbottiamo già il cervello con migliaia di dati tecnici?”.
Nell’ultimo capitolo del libro (Caro Vincent), il dottor Chaussoy si rivolge al giovane scomparso:
“E’ tempo che si parli finalmente della morte, senza nascondersi dietro le parole.
E’ tempo che si possa rispondere a persone come te qualcosa di diverso da: “Mi dispiace, non ne ho il diritto”.
E’ tempo che si impari a rispettare le volontà dei malati, anche quando esse ci disturbano.
E’ tempo che non si scarichino più sui medici delle domande alle quali nessuno sa o vuole rispondere.
E’ tempo che la legge cessi di punire coloro che fanno il loro mestiere con riguardo e umanità”.
Adolfo Baravaglio, Eluana Englaro, Vincenza Santoro, Chantal Sèbire, Hugo Claus, June Burns, Giovanni Nuvoli, Piergiorgio Welby, Diane Pretty, Vincent Humbert, Ramón Sampedro, Luca Coscioni e mille altri sconosciuti: ormai il problema del fine vita, di una morte dignitosa, non interessa solo pochi individui ma ci riguarda tutti. In un futuro speriamo non lontano, questi nomi resteranno come pietre miliari nella storia dell’eterna lotta per l’emancipazione umana dalle tirannidi e dalle superstizioni, per un’esistenza più felice, più serena, più bella, più piena, più solidale, più intensa. Anche in loro nome LucidaMente continuerà a combattere la loro/nostra battaglia per la libertà, per la laicità, per una vita e una morte dignitosa e per tutti i diritti umani.
Le immagini: Rino Tripodi accanto a Mina Welby durante il suo intervento al Convegno bolognese del 24 febbraio tenutosi nella cappella Farnese di Palazzo D’Accursio.
Eva Brugnettini
(LucidaMente, anno IV, n. 39, marzo 2009)
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