Le elezioni politiche del 2008 hanno rappresentato una svolta nella storia dell’Italia repubblicana. Il centrosinistra ha patito un tracollo elettorale, da cui non sembra essersi ancora ripreso, mentre l’asse politico del Belpaese ha subito un deciso spostamento a destra, con un’accelerazione delle tendenze più autoritarie e intolleranti. E, per la prima volta dal 1946, nessuna formazione politica che si richiami alla tradizione socialista o comunista è oggi presente in parlamento.
Ritorno al passato… – Negli ultimi anni la dialettica politica si è focalizzata sullo scontro – almeno apparente – tra il Popolo delle libertà e il Partito democratico. La legge elettorale (il famigerato “Porcellum”, approvato nel 2005), anche se ha riportato in vigore il sistema proporzionale, alla fine ha penalizzato i partiti minori, attraverso un complicato meccanismo di soglie di sbarramento e premi di maggioranza. Ne è scaturito un quadro politico molto diverso da quello affermatosi tra 1994 e il 2006, periodo nel quale sono prevalse le coalizioni larghe ed eterogenee: similmente ai tempi della Prima Repubblica, oggi si contendono il potere un partito tendenzialmente progressista e una formazione apertamente conservatrice. Mentre, però, il Pd ha poco a che spartire col vecchio Partito comunista italiano, il Pdl sembra aver recepito l’eredità della Democrazia cristiana, quantomeno delle sue componenti più moderate, legate al mondo della finanza e attente ai richiami del Vaticano. Anche la politica intrapresa dal governo di centrodestra ricalca, in parte, quella praticata dai democristiani negli anni Cinquanta dello scorso secolo, quando furono adottate misure economiche di stampo liberista (pur se stemperate da un certo interventismo statale), con un rigido controllo dell’informazione radiotelevisiva e il richiamo ai valori della famiglia e della patria contro il “pericolo rosso”.
…o deriva autoritaria? – Le analogie col passato finiscono qui. Un’analisi più attenta della realtà odierna ci fa intravedere scenari davvero inquietanti, che lasciano trasparire l’avvento di una Terza Repubblica dai contorni plebiscitari e autoritari, nella quale il potere esecutivo assumerà indubbiamente funzioni superiori a quelle di ogni altro organo dello Stato. Ci pare, a tal proposito, che si stia attuando il “Piano di rinascita democratica”, elaborato nel 1976 da esponenti della Loggia P2, nel quale, tra l’altro, si prevedevano le seguenti “riforme”: «[…] acquisire alcuni settimanali di battaglia; […] coordinare molte Tv via cavo con l’agenzia per la stampa locale; […] dissolvere la Rai-Tv in nome della libertà di antenna ex art. 21 Costit.; […] concessione di forti sgravi fiscali ai capitali stranieri per agevolare il ritorno dei capitali all’estero; […] riforma dell’ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione per merito delle promozioni dei magistrati, imporre limiti di età per le funzioni di accusa, separare le carriere requirente e giudicante; […] modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del Consiglio è eletto dalla Camera all’inizio di ogni legislatura e può essere rovesciato soltanto attraverso le elezioni del successore; […] nuove leggi elettorali, per la Camera, di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco) riducendo il numero dei deputati a 450 e, per il Senato, di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali» (cfr. Michele Gambino, La Loggia P2. La storia e i documenti, supplemento ad Avvenimenti, n. 12, 1992). L’instabilità governativa, i tentativi di golpe e il terrorismo rischiarono di favorire l’attuazione del disegno piduista, che comunque fu bloccato dall’azione della magistratura e di ampi settori dell’opinione pubblica. Ma le cose sono cambiate rapidamente dopo il 1993…
Un futuro ancora da definire – L’improvvisa “discesa in campo” del tycoon più potente delle telecomunicazioni italiane ha scompaginato i giochi dell’incipiente Seconda Repubblica, inducendo la personalizzazione e la spettacolarizzazione della lotta per il potere, che hanno finito per “imbarbarire” la vita politica e per inficiare i valori più autentici della democrazia, ridando vigore al progetto piduista (in versione “federalista” e “presidenzialista”). Le traversie politico-giudiziarie del leader del Pdl, tuttavia, lasciano intendere che il futuro dell’Italia è ancora da definire. La ferma risposta fornita da una parte della stampa ai tentativi di imbavagliarla, la ripresa di pur estemporanei movimenti di protesta popolare, l’importante decisione presa dalla Corte costituzionale contro il Lodo Alfano e i contrasti emersi all’interno della maggioranza sembrano aver creato degli intoppi all’azione di un governo che, stando almeno alle dichiarazioni d’intenti di vari suoi esponenti, potrebbe davvero modificare la Costituzione in senso presidenzialista, instaurando una sorta di “regime bonapartista”. È quello che paventa anche Michele Boldrin, quando sostiene che, nonostante gli incidenti di percorso, «continua invece il cambiamento costituzionale strisciante, ripreso nel maggio 2008 dopo un’interruzione di soli due anni» (cfr. Signor B, la prima gallina che canta…, ne il Fatto Quotidiano, 14 ottobre 2009). Secondo Boldrin, «tale cambiamento costituzionale mira alla costruzione sul terreno (de facto, prima che de iure) di un regime populista-presidenziale (alcuni direbbero “autoritario”) in cui il capo dell’esecutivo si considera (o è, nel caso di un cambio anche de iure) eletto direttamente dal popolo e quindi dotato di poteri ed esenzioni particolari che la costituzione italiana non prevede per il momento». Questo stravolgimento della Carta costituzionale, tuttavia, potrà realizzarsi compiutamente soltanto se l’opposizione si dimostrerà disponibile ad accordi, senza contrastarlo efficacemente (per esempio, ricorrendo a un referendum popolare, che, come è già successo nel 2006, potrebbe invalidare le riforme istituzionali approvate in parlamento a colpi di maggioranza).
L’opposizione da ricostruire – Perché, non dimentichiamolo, è proprio l’opposizione il sale della democrazia, che in sé è una forma politica fragile e imperfetta, destinata a degenerare nel dispotismo (o nel caos), se non si stabiliscono i giusti equilibri fra chi comanda e chi dissente. Tocca, dunque, all’opposizione difendere gli spazi di democrazia ancora esistenti, provando nel contempo a costruire una credibile alternativa a chi sta al potere (come hanno saputo fare – pur con tutti i loro limiti – Zapatero in Spagna, Obama negli Usa e Papandreu in Grecia). Non sarà per niente facile, a dire il vero, fermare la deriva autoritaria e populista verso cui sembra incanalato il sistema politico italiano, ricomponendo i pezzi di un centrosinistra che appare tuttora profondamente frammentato e diviso. Come ha affermato tempo fa lo scrittore portoghese Josè Saramago in un’intervista rilasciata a Paolo Flores d’Arcais, infatti, «la realtà italiana di oggi vede un Berlusconi che fin qui ha avuto buon gioco sugli sforzi dell’opposizione, perché si è trattato di un’opposizione vana, poco dotata di idee e divisa in tendenze, gruppi e interessi personalistici e di “parrocchia”» (cfr. http://temi.repubblica.it/micromega-online/i-nuovi-fascismi-mascherati-e-la-sinistra-smarrita-dialogo-tra-paolo-flores-darcais-e-jose-saramago/). Per ridare vigore alla democrazia italiana, tuttavia, non basta la mera ricostruzione del centrosinistra, magari grazie all’avvento di “un veltro” che sappia riunificarne le fila e risollevarne le sorti. Ci vorrebbe anche una metamorfosi dei cittadini, oggi in gran parte assuefatti all’illegalità o rassegnati allo strapotere di una “casta” d’intoccabili. Se non ci sarà una resistenza diffusa contro il disegno autoritario, infatti, si correrà il serio rischio che “il regime” – in forma soft e con apparenti tutele costituzionali – si affermi nel breve volgere di pochi anni.
Il “caso Bologna” e la denuncia dei radicali: «Viva la Costituzione!» – Emblematico, infine, quanto sta avvenendo a Bologna, una volta città democratica o addirittura “rossa” per antonomasia. È in vigore da una decina di mesi, con l’avallo delle autorità comunali e provinciali, il divieto, stabilito dalla Prefettura, di manifestare nelle principali vie e piazze del centro storico dalle 14 di sabato fino a tutta la domenica. Il che significa che anche un semplice volantinaggio o raccolta di firme sono proibiti, impedendo così agli organizzatori di entrare in contatto con la massa dei cittadini bolognese che, proprio nel fine settimana, passeggiano lungo le vie più note del capoluogo emiliano. Per protestare contro tale assurdità, con un gesto di disobbedienza civile, alcuni iscritti al Partito radicale, fra cui la deputata eletta nelle liste del Partito democratico Rita Bernardini, verso le 14 dello scorso sabato 7 novembre, sotto il portico di via Rizzoli, all’incrocio con via Artieri, hanno montato il banchetto per raccogliere le firme a favore dell’iniziativa di legge popolare per il registro dei biotestamenti nell’orario in cui vige il divieto del prefetto a manifestare. Così tre attivisti, fra cui la parlamentare, sono stati identificati dalla polizia e probabilmente verranno denunciati. Quando i poliziotti in borghese li hanno invitati a spostarsi, la deputata, sorridendo, ha risposto: «Viva la Costituzione». La Bernardini ha raccontato che il prefetto le ha telefonato «provando a convincermi a desistere. Figuriamoci, sono 35 anni che lottiamo per questi diritti. Gli ho detto che vogliamo essere denunciati». Visto il rifiuto di rimuovere il banchetto, le sono stati chiesti i documenti. La Polizia municipale, invece, le ha fatto una multa di 155 euro, per occupazione abusiva di suolo pubblico. «Faremo ricorso», ha commentato la parlamentare, rimanendo sul posto insieme ad altre cinque persone.
L’immagine: particolare de Gli storpi (1568, olio su tavola, Parigi, Musée du Louvre) di Pieter Bruegel (Breda, ca. 1525-1530 – Bruxelles, 5 settembre 1569). Una efficace allegoria per la nostra democrazia “zoppa e sciancata”?
Giuseppe Licandro
(LM EXTRA n. 17, 10 novembre 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 47, novembre 2009)