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Il convento rosso di Claudio Piras

Dalla redazione by Dalla redazione
2 Giugno 2008
in RECENSIONI
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La casa editrice cagliaritana La Riflessione-Davide Zedda Editore, dopo aver già dato alle stampe nel 2006 Il rifugio (La Riflessione-Davide Zedda Editore, pp. 92, € 10,00), ha confermato la propria fiducia al giovane Claudio Piras e nel febbraio del 2008 ha pubblicato il suo secondo lavoro: Il convento rosso (La Riflessione-Davide Zedda Editore, pp. 144, € 12,00).
Le differenze tra le due opere sono evidenti, anche se è passato solo poco tempo tra le due pubblicazioni. Oltre a un palese aumento delle pagine, cambia anche l’ambientazione (quella presente nel secondo libro è molto più esotica della Sardegna degli anni Ottanta, ritratta abilmente nel romanzo di debutto dell’autore sardo). Soprattutto, però, occorre soffermarsi sugli evidenti passi in avanti che il giovane scrittore di appena ventisette anni è riuscito a compiere.

Problemi di definizione – Il convento rosso è un libro che sfugge alle facili definizioni. Prendendo spunto dai pareri di molti critici letterari contemporanei, potremmo tranquillamente dire che il suo essere ibrido lo renda un buon esempio di un’opera letteraria dei nostri giorni. Rappresenta infatti un incrocio tra romanzo storico e romanzo d’avventura, con forti elementi di psicologici ed etici. Il testo è composto da sei parti. La prima e l’ultima sono ambientate nell’anno 1980, creando una sorta di intreccio e unendo tutto in un insieme logico e persuasivo. La vicenda comincia da qualcosa che ha tutte le sembianze di uno strano scherzo del destino: due uomini, apparentemente perfetti sconosciuti, muoiono a distanza di pochi giorni uno dall’altro e i loro testamenti sconvolgono la vita dei loro figli. I giovani, Elisa e Riccardo, quindi, si incontrano per un inspiegabile capriccio della sorte e decidono di partire assieme per scoprire l’oscura verità sul passato dei loro padri. E’ con questo viaggio che conosciamo il vero protagonista del romanzo: il convento rosso. Non è un luogo immaginario. Il monastero esiste davvero al confine tra la Polonia e la Slovacchia. “Il convento rosso” scrive l’autore “le cui mura esterne biancastre erano dominate dalle mattonelle rosse dei tetti, era collocato in uno schema naturale avvincente. Alle spalle dell’edificio si innalzavano le montagne della catena dei Pieniny, creando una cornice suggestiva”. E ancora: “La robustezza delle mura, la linea grossa degli archi, le modeste dimensioni delle finestre quadrate e lo spessore notevole delle pesanti pareti evocavano il succoso ricordo del medioevo, epoca ormai avvolta da un velo enigmatico, affascinante nei suoi contrasti. Le grandi e chiare pietre sembravano custodire ancora la memoria del passato glorioso, in mezzo alle corpulente pareti pareva riecheggiare il sussurro dei monaci uniti in preghiera”.

Una trama lunga secoli – Piras, evidentemente sedotto dal fascino medioevale del posto, decide di narrare i momenti più rilevanti della sua lunga e travagliata storia. Ma invece di farlo in maniera classica, dall’inizio alla fine, ribalta tutto e parte dal Novecento per risalire fino al Medioevo. Come detto, la prima e l’ultima parte sono ambientate nel 1980, un anno memorabile per la comunità europea. È allora che nacque il sindacato di Solidarnosc, è allora che cominciò il movimento che in fin dei conti portò alla caduta del muro di Berlino. La seconda parte, intitolata La lettera, parla della Seconda guerra mondiale e di un complotto tra Stalin e Mussolini. La fantasia dell’autore lascia intendere che, se la congiura fosse andata a buon fine, sarebbero potute cambiare le sorti dell’intero mondo. La terza parte è ambientata nel Settecento. I protagonisti, disegnati con fervore e convincenti nei ruoli che lo scrittore assegna loro, vivono in un piccolo borgo, situato nelle vicinanze del convento rosso, nella parte slovacca della catena montuosa dei Tatra. L’azione della quarta parte si svolge nel Cinquecento, nel cuore della capitale di uno dei paesi più ricchi, grandi e potenti dell’Europa rinascimentale – il Regno della Corona Polacca e Lituania (Cracovia). L’azione della quinta parte è ambientata nel Basso Medioevo e porta la soluzione del tenebroso enigma, fortemente presente in ogni piccola microstoria che costituisce il romanzo.

Il linguaggio – Tornando al discorso dei progressi che Piras è riuscito a compiere rispetto al primo romanzo, bisogna soffermarci sulla lingua dell’opera. Questa è ricercata, ricca e avvincente, come tutto Il convento rosso. Vale la pena mettere in evidenza la grande abilità che permette all’autore di adeguare il linguaggio all’epoca descritta. I dialoghi veloci tra gli agenti dei servizi segreti russi e italiani e lo stile quasi da reportage della parte “guerriera” del romanzo si alternano e completano con un linguaggio quasi fiabesco della parte settecentesca e con le conversazioni raffinate che nello sfarzoso Cinquecento riecheggiavano nelle stanze reali del castello dei monarchi polacchi di Wawel. È un eclettismo meritevole d’attenzione, soprattutto considerando la giovane età dell’autore.

Considerazioni finali – Perché si dovrebbe leggere questo romanzo? Perché è un buon libro, in cui si percepisce il puro gusto di scrivere e si notano le ricerche linguistiche, che rimangono in perfetta sintonia con intriganti intrecci e una trama ben pensata. Non è un libro banale, come non è banale il luogo che descrive. E come la montagna, così anche le storie, che attraversano i secoli, creano “una cornice suggestiva” per un protagonista davvero straordinario: il convento rosso.

L’immagine: particolare della copertina del libro di Piras.

Anna Gogolin

(LucidaMente, anno III, n. 31, luglio 2008)

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Tags: Anna GogolinClaudio PirasIl convento rossoIl rifugioLa Riflessione-Davide Zedda Editoremonti TatraMussoliniRegno della Corona Polacca e Lituaniasardegnaseconda guerra mondialeSolidarnoscstalinWawel
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