Il romanzo “Le particelle elementari” (Bompiani) di Michel Houellebecq prefigura l’apocalisse della nostra civiltà, travolta soprattutto dalle sue stesse debolezze e dalla cultura radical chic
Nevrotici, in eterna crisi d’identità, consumatori di psicofarmaci, in irrisolta cura psicanalitica, benestanti, incapaci di crearsi un nucleo familiare, superficiali inseguitori delle mode culturali, comprese quelle gastronomiche, consumatori frenetici, vuoti, infelici. E pervasi, anzi dominati, dal desiderio sessuale fino alla maniacalità; sesso peraltro realizzato con facilità, ma che non appaga, piuttosto un piacere erotico esibizionista, che diventa meccanico, sempre alla ricerca di altro, di più (vedi Il sesso sporco del neocapitalismo).
È questo il profilo della maggior parte dei personaggi, donne, uomini e gay, del romanzo Le particelle elementari (Bompiani, pp. 350, € 13,00) di Michel Houellebecq. Un’opera che risale a qualche anno fa (1998), ma che appare profetica nel delineare la devastazione della società e dell’umanità media occidentale del XXI secolo. Intendiamoci: l’autore francese non ci sembra un grande scrittore. Tuttavia, come in Sottomissione (2015, da noi recensito su LucidaMente nello scorso giugno), sa cogliere le contraddizioni della civiltà europea e occidentale in genere, le sue fragilità, foriere di un’inarrestabile decadenza. Le particelle elementari è un romanzo senza particolari pregi dal punto di vista artistico, squilibrato, fin dal genere narrativo incerto (fantascientifico?, distopico?, psicologico?, sociale?, satirico?) e caratterizzato dalla commistione dei punti di vista e dei registri stilistici (non è facile rifare L’uomo senza qualità di Robert Musil). Cosicché anche l’omonimo film (2006, di Oskar Roehler), tratto dal libro di Houellebecq, pur con qualche momento emozionante e commovente, è opera cinematografica diseguale.
In sintesi, e senza rivelare troppo al lettore o allo spettatore de Le particelle elementari, è la vicenda di due fratellastri (Bruno e Michel), molto diversi tra loro, nati da una madre egocentrica eternamente giovanilista e immatura e alla perenne ricerca di piaceri con vari uomini: per capirci, un’eterna hippie, leggera e irresponsabile, ma, per fortuna sua e dei figli, benestante. Bruno è docente di Lettere; Michel è uno scienziato freddo e razionale, luminare delle sconvolgenti tecniche di clonazione. Se il primo è affetto da vere e proprie morbosità sessuali, il secondo appare asettico e quasi asessuato. A connotarli è comunque la solitudine, l’infelicità, l’inquietudine, una sostanziale aridità.
Attorno a loro varie donne, alcune del tutto superficiali, altre, invece, dotate almeno di calore, ma anch’esse caratterizzate da impulsi dettati da un sostanziale vuoto interiore. Nel complesso (e semplificando) l’ambiente in cui si collocano i personaggi si potrebbe definire radical chic: lussuosi soggiorni ove si praticano le terapie più cervellotiche ma à la page; cibi esotici; campi nudisti; locali scambisti predisposti per un sesso sfrenato. Una società postumana, nella quale il soddisfacimento dei desideri e dei capricci individuali è l’obiettivo centrale e la famiglia non esiste o è davvero malmessa (la «generalizzazione del divorzio»). Al di sotto dei bei propositi e delle petizioni di principio, un microcosmo spocchioso, sostanzialmente insensibile e freddo («l’universo piccolo-borghese, quello degli impiegati e dei quadri medi, era più tollerante, più accogliente e più aperto rispetto a quello dei sedicenti emarginati, all’epoca rappresentati dagli hippy»).
Houllebecq è bravissimo nel delineare una tipologia sociologico-culturale che oggi, seppure minoranza, ha assunto il controllo della civiltà occidentale neocapitalista: col Sessantotto («“a quell’epoca erano tutti di sinistra”») «l’opzione edonistica-libidica d’origine nordamericana trovò un valido sostegno negli organi di stampa d’ispirazione libertaria […]; benché sostanzialmente collocate in una prospettiva politica di contestazione del capitalismo, quelle riviste concordavano con l’industria del divertimento quantomeno sull’essenziale: distruzione dei valori morali giudaico-cristiani, apologia della gioventù e della libertà individuale».
Se «coppia e famiglia rappresentavano l’ultima isola di comunismo primitivo in seno alla società liberale […] la liberazione sessuale ebbe come effetto la distruzione di queste comunità intermedie, le ultime a separare l’individuo dal mercato». Lo scrittore francese non usa mezzi termini: «“Non c’è niente di peggio del femminismo…” […] “Quelle imbecilli […] nel giro di qualche anno riuscivano a trasformare in nevrotici gli uomini che avevano attorno. […] Sicché finiva che piantavano il loro uomo e andavano a farsi scopare da qualche macho latino. Mi ha sempre colpito l’attrazione che le intellettuali provano nei confronti di bruti, magnaccia e imbecilli”». Al «bisogno di certezza razionale, l’Occidente ha sacrificato tutto: la sua religione, la sua felicità, le sue speranze, in sostanza ha sacrificato la sua stessa vita. […] Attualmente l’Islam – di gran lunga la più ottusa, la più falsa e la più oscurantista di tutte le religioni – sembra guadagnare terreno». Vuoto spirituale, distacco dall’umanità e dalla realtà, privilegi da casta, consumismo sessuale… Una tale società, una tale cultura, potrà mai resistere o quanto meno opporsi alla spinta fortemente espansiva di altre civiltà ben più strutturate e aggressive, quali quelle islamica, cinese, indiana?
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XIV, n. 164, settembre, 2019)