Già nella precedente silloge I luoghi del sogno (Akkuaria) Serena Accàscina ci aveva affascinato con la sua lirica raffinata e “colta”, ricca di riferimenti a maestri come Eugenio Montale (tra i suoi poeti preferiti, assieme ad Attilio Bertolucci, Emily Dickinson, Eugenio Montale e Antonia Pozzi): ricami esistenziali fluidi ma privi di blandizie.
Della sua nuova pubblicazione poetica, Come sospesi nel vuoto (Prefazione di Roberto Caracci, pp. 76, € 12,00, quinto volumetto della collana di poesia Le invetriate della inEdition editrice/Collane di LucidaMente), offriamo come assaggio ben sette liriche, alcune delle quali fanno riferimento alle stagioni e, attraverso esse, al tempo – uno dei leitmotiv dell’opera -, con i suoi cicli di morte e rinascita.
Albero e neve
Albero carico e bianco
di neve cadente,
per te un peso
per gli altri bellezza
e gioia del cuore,
le braccia aperte
ad accogliere,
come una donna gravida.
Vie deserte
Vie deserte
strade di lastricati
pavimenti alla malinconia
s’aprono in gore di vuoto tempo.
Sogno d’estate
Sogno d’estate
un prato verde
su un lago
e un salice accanto
che piange
la sua sventura
di essere bello…
Poi un verme
che si libera
perde il guscio
orrido e viscido,
muore. Iattura!
Smetti di piangere,
accanto al salice
c’è una terrazza
d’aria e bellezza
dove il fresco
colora l’estate
E ci unisce.
Il verme mutato
in lieve farfalla.
Rinascere
Le tue corolle quali sono,
estate che tradisci,
che arrivi inaspettata,
che passi e ci fai ridenti,
quali sono le tue corolle,
dove sono i tuoi semi?
Improvvisa tornata
di nuovo bambina,
la contempli e ti pare
che tu sia ora nata,
lama di luce,
fresco soffio di colore,
una rondine o un fiore
si levano in volo
solo per te,
meraviglia degli occhi,
festa del cuore smarrito
che dicembre non prevedeva
“Dove sei spuntata?”.
“Sono il fiore del deserto”.
E l’anima incantata
dal tuo sguardo
che traluce la gioia,
l’aurora del corpo
che si credeva
finito e ora
ritorna a vivere,
ferito e impazzito
di luce e di prato
di verde e di nuovi
fiori nati per caso,
imprevisto mistero…
Estate ultima
Estate che non arrivi,
tarde le gemme,
tardo il vento
eppure la brezza
ondosa
e il profumo
del bosco
aprono la casa
alla soglia
del tempo
che si disfa
pian piano fino
all’ultimo mattone,
e il nocciolo
del pruno
che la bestia ha raccolto
dormendo al riparo
di quiete ombrosa,
esala la vita
che s’innalza
su all’olmo alto per giungere
fino alla sua massima luce…
Luce nuda
La luce nuda
quando non c’è più nulla
su cui poggiare
quando tutto è passato,
bellezza della vita
(o mia malinconia perenne),
la gioia di vivere,
l’ardore di un tempo
tutto finito, resta
la luce della nuda
tua anima.
E piove piove
Nella vetrina
vedo il mio volto
riflesso sull’acqua.
E piove e piove
Il sorriso è fatica
e il grumo s’affolta
dentro l’anima
che va vagando
e malinconica
prende terra
cade e si frange…
sul nostro amore
su di te su di me
sul ricordo
che non si sfolla,
non emerge
passione
e piove piove…
Una bimba
nera e ricciuta
mi sorride…
m’alzo e cammino
esco fuori dal buco
e provo, tento
l’approccio,
a lei non parlo,
solo una carezza,
è l’altra me
che incontro,
è l’altra me
cui dico
“la scala é in salita,
lungo il cammino
non ti scoraggiare”
e l’altra me
sorride
e piove piove
e ratto
all’improvviso
il sole appare.
(da Serena Accàscina, Come sospesi nel vuoto, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: Albero+arcobaleno+lampione, foto di Rino Tripodi.
Jessica Ingrami
(LM EXTRA n. 16, 15 settembre 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 45, settembre 2009)