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Il lavoro femminile tra diritti e precarietà

Dalla redazione by Dalla redazione
10 Giugno 2007
in ATTACCO FRONTALE
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Donne, lavoro e famiglia: un trinomio che, al di là delle lotte per i pari diritti e opportunità combattute nel secolo ormai concluso, non sembra ancora aver trovato la via della totale conciliazione. Pare vanificato ogni sforzo sessantottino, ora che – a quasi quarant’anni di distanza da quando le femministe rivendicavano l’emancipazione – le loro giovani eredi si ritrovano a fare i conti con un presente lavorativo quotidianamente minacciato dalla precarietà e dall’incertezza per il futuro.

Discriminazioni sul lavoro – L’ultimo rapporto Istat – risalente al 2003 -, relativo alla situazione d’impiego femminile, rileva infatti come l’occupazione fra le donne sole e senza figli si aggiri intorno all’87%, per scendere al 50% tra quelle che vivono in coppia e hanno dei bambini. Il 6% delle future mamme denuncia, infatti, il licenziamento prima del parto, mentre il 14% di chi lavorava in gravidanza dichiara di aver preferito lasciare il posto dopo la nascita del figlio, per via di orari inconciliabili con le nuove necessità. A questi dati si aggiungono quelli delle donne che lamentano come “conseguenza” della maternità, abbassamenti della qualifica professionale, modifiche nei turni e spostamenti di reparto. Come si evince dalle stime, le donne, che hanno bisogno di maggior tempo per occuparsi di casa e figli, troppo spesso non vengono supportate da adeguate strutture sociali e sono costrette a scontrarsi con un mercato del lavoro poco propenso ad agevolarle. Esse, perciò, vanno incontro a un destino di declassamento, essendo considerate molto meno produttive rispetto a un pater familias che può invece mantenere il proprio impiego con serenità, aspirando a ricoprire quei ruoli dirigenziali preclusi al sesso opposto. Un sesso costretto ancora una volta alla debolezza, data la vulnerabilità delle condizioni occupazionali.

Una figura a favore delle donne – A quanto pare, il nostro Paese è ancora vittima di stereotipi e pregiudizi fondati sulla diversità di genere. Per abbatterli, molti tentativi si sono compiuti sul piano legislativo, nel cui ambito la novità più significativa è stata l’introduzione della figura istituzionale della consigliera di Parità. Essa occupa un ruolo di primaria importanza per la promozione dell’occupazione femminile e per la prevenzione e la lotta contro la discriminazione nell’accesso, nella formazione e nello svolgimento del rapporto di lavoro. Tale figura è stata prevista già a partire dal 1986, ma solo dal 2000 – per mezzo del Dlgs 196 – è stata dotata degli strumenti e dei poteri necessari per esercitare il proprio ruolo. Le consigliere di Parità, nominate dal Ministero del Lavoro, operano presso le Regioni e le Province d’Italia tutelando il lavoro femminile a 360 gradi e rilevando ogni situazione di squilibrio. Esse offrono anche assistenza legale gratuita alle donne discriminate sul lavoro. In questo senso, il loro ufficio funziona come uno sportello presso il quale denunciare i casi d’irregolarità; una volta raccolti tutti gli elementi utili e sentito il sindacato, si decide di convocare i responsabili della discriminazione per un tentativo di conciliazione. Se questa va a buon fine, la vertenza si esaurisce, altrimenti si sceglie di ricorrere alle vie legali.

Uomini e donne: uguali diritti e doveri – Gli interventi legislativi a favore delle donne sono mirati non soltanto a una maggiore tutela sul lavoro, ma anche in casa, con l’obiettivo di combattere la tradizionale suddivisione dei ruoli, per cui solo la madre deve prendersi carico della cura dei figli, rinunciando a sogni e carriera. Al fine di incentivare una equa ripartizione dei compiti, al lavoratore padre sono state estese le stesse garanzie di tutela del lavoro previste in origine esclusivamente per la madre. L’approvazione della legge dell’8 marzo 2000 n. 53 sui congedi parentali è volta, infatti, ad assicurare ad entrambi i genitori la possibilità di assentarsi dal lavoro per accudire i figli minori di 8 anni o per gravi motivi familiari. Uomini e donne, alternativamente, hanno quindi diritto ad astenersi dal lavoro durante le malattie dei bambini.

La tutela di tutti i bambini – Queste norme dimostrano come nel corso degli anni l’attenzione si sia sempre più rivolta, oltre che alla tutela della madre, alla protezione del bambino, ugualmente bisognoso di cure materne e paterne. Nonostante ciò, secondo il rapporto Istat del 2003, la percentuale di uomini che ha usufruito dei congedi parentali per seguire i figli raggiunge appena il 7%. Sempre nell’interesse del bambino, con il tempo si è proceduto verso la progressiva equiparazione dell’adozione alla filiazione naturale; ora i genitori adottivi e affidatari hanno gli stessi diritti di astensione dal lavoro di cui godono quelli naturali, fino al raggiungimento del sesto anno di età del figlio. Molto si sta facendo sul piano normativo per far uscire le donne dalla tradizionale condizione di subalternità lavorativa in cui sono confinate, tuttavia i risultati saranno sempre insoddisfacenti fino a quando la tutela legislativa non sarà supportata da una maggiore apertura mentale verso l’idea che la cura della famiglia non sia solo una questione femminile.

L’immagine: particolare di Ragazza con colletto alla marinara di Amedeo Modigliani (Livorno, 1884 – Parigi, 1920).

Claudia Mancuso

(LucidaMente, anno II, n. 21, settembre 2007)

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Tags: 8 marzo 2000 n. 53consigliera di paritàconsigliere di Paritàdiscriminazione femminileemancipazionefemminismoitalialavorolavoro femminilemancusopari dirittipari opportunitàprecariatoprecarietà
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