Quando, da parte della storiografia musicale contemporanea, si parla di diffusione tra il popolo della passione per l’opera lirica, spesso si dimentica che il successo del melodramma, in Italia, è avvenuto in ogni luogo della Penisola italiana e non soltanto nel Centro-Nord.
Prenderò volutamente la Calabria quale esempio estremo, in quanto è una regione molto spesso trascurata (di fatto sconosciuta), sia quando si parla di storia della musica, sia quando si parla di melodramma (a meno che non si faccia riferimento ai natali di Francesco Cilea o all’ambientazione dei Pagliacci di Leoncavallo).
Le compagnie girovaghe – La diffusione capillare del melodramma avvenne, in tutte le province meridionali, già nel XVIII secolo, attraverso compagnie girovaghe (dette “scavalcamontagne”) che, a più riprese e per svariati decenni tra il XVIII e il XIX secolo, percorsero le piazze calabresi. Documentata, per esempio, è l’attività della compagnia di cantanti d’opera capitanata da Matteo Benvenuto, attiva a Cosenza e Rossano intorno al 1778, che stampava a Napoli i suoi libretti. Da ricordare, a Catanzaro, una sala con palchetti fatta costruire dal barone Schipani nella seconda metà del Settecento, dove, di solito, si poteva assistere a rappresentazioni che duravano da novembre a carnevale. Ancora, a Polistena, nel palazzo dei Milano, feudatari di questa città, esisteva un teatro per l’opera con cappella musicale annessa, attiva dal 1729 al 1740 e che vide Michelangelo Jerace quale “maestro di cappella”. All’interno del castello di Arena dei marchesi Caracciolo, vi era un teatro utilizzato, almeno fino al 1783, per la rappresentazione di melodrammi. Buona parte dei teatri calabresi del Settecento erano all’interno di palazzi privati o pubblici ovvero, costruiti in legno, potevano essere eretti di volta in volta alla bisogna, soprattutto durante momenti importanti di aggregazione quali le fiere e le sagre. Questa non era soltanto una condizione del Meridione: nel Settecento anche in varie piazze del Nord Italia i teatri erano in legno e costruiti per la “stagione”.
I teatri calabresi – Nell’Ottocento, sembra che il Sud non potesse vantare quella capillarità di diffusione e quei momenti di aggregazione popolare quali le società di mutuo soccorso e il “teatro da stalla” settentrionali. La dicotomia, che si venne a creare dopo l’unità d’Italia, attraverso la cosiddetta “lotta al brigantaggio” (che il Nord non conobbe), spazzò via tutto ciò che poteva essere momento di sodalizio musicale fino a cancellarlo dalla memoria del Meridione, e dalla Calabria in particolare, lasciandolo soltanto come cespite delle, sicuramente encomiabili, bande musicali. Tuttavia, proprio a ridosso di questi avvenimenti e nonostante gli enormi problemi economici e sociali che ne derivarono, in Calabria si potevano ancora contare, tra il 1865 ed il 1868, numerosi teatri: Cosenza, Teatro baraccato; Rossano, Teatro comunale; Paola, Teatro comunale; Castrovillari, Teatro comunale; Catanzaro, Teatro nazionale; Crotone, Teatro Milone; Monteleone (oggi Vibo Valentia), Teatro vibonese; Nicastro, Teatro Numistrano; Reggio Calabria, Teatro comunale; Bagnara, Teatro comunale; Villa San Giovanni, Teatro (senza nome); Palmi, Teatro (senza nome); Gerace, Teatro comunale; Mammola, Teatro dei dilettanti; Gioiosa Jonica, Teatro comunale; Caulonia, Teatro nazionale; Stilo, Teatro San Giorgio.
Artigiani all'”opera” – In seguito, finita la “lotta al brigantaggio”, si innestò immediatamente la piaga dell’emigrazione che, insieme all’ennesimo terremoto (1908), delineò, drammaticamente, da una parte l’esaurimento della memoria storica, dall’altra il depauperamento e poi la scomparsa di alcuni di questi teatri. Con la loro sparizione, ma soprattutto con il diradarsi della popolazione a causa dell’emigrazione, scomparve, tra le altre cose, perfino il ricordo di quando, in Calabria, si rappresentavano “al popolo” i melodrammi. Però, ancora negli anni Venti del Novecento, a ridosso della ricostruzione di Reggio Calabria dopo il terremoto del 1908, muratori, falegnami, carpentieri semianalfabeti o con la sola istruzione elementare, andavano ad ascoltare l’opera al teatro Vittorio Emanuele di Messina. Chi scrive ha conosciuto personalmente alcuni di questi artigiani, ormai avanti negli anni, i quali stentavano a fare la propria firma ma conoscevano benissimo la trilogia popolare di Verdi, Puccini e Mascagni. Negli anni Cinquanta del Novecento (per esempio a Scilla), falegnami e carpentieri locali erano soliti costruire il palcoscenico dove la compagnia girovaga (di prosa, però) si esibiva nella stagione estiva.
L’immagine: il teatro Vittorio Emanuele di Messina, di cui si parla nel testo. Inaugurato nel 1852 con il nome di teatro Santa Elisabetta, dal 1860, in onore di re Vittorio Emanuele II, prese l’attuale denominazione di teatro Vittorio Emanuele.
Francesco Cento
(LucidaMente, anno II, n. 24, dicembre 2007)