Anni Duemila, Occidente: eppure, da Schiele a Courbet, da Rodin a Jean de Boulogne, ecco alcuni dei più recenti casi di “arte proibita” che hanno fatto scalpore
Una giovane riccia, capelli corti, magrezza spigolosa e mani nodose, una piccola bocca rossa che spicca su un colorito pallido, girata di profilo in un’espressione di attenta curiosità. Ai suoi lati stanno due ragazzi alti, possenti, dai lineamenti geometrici e dalle sopracciglia folte. Questi i protagonisti di tre delle suggestive tele dell’austriaco Egon Schiele, uno dei più grandi pittori e incisori del XX secolo, di cui nel 2018 ricorrono i cento anni dalla morte. Per celebrare tale importante commemorazione, l’ufficio del turismo di Vienna sta promuovendo mostre dell’artista in tutta Europa.
Cartelloni pubblicitari raffiguranti le tre opere sopradescritte sono oggi visibili in diversi Paesi, Inghilterra compresa, dove campeggiano nella metropolitana di Londra. Ma, attenzione, chi vi capita davanti non le ammira nella loro interezza: tra le gambe e le spalle delle sventurate figure umane spiccano infatti dei riquadri che ne coprono i genitali – e il seno, nel caso della donna. Il motivo è spiegato nella frase in nero scritta all’interno dei rettangoli bianchi: «Sorry, 100 years old but still too daring today», ovvero “Siamo spiacenti, hanno cent’anni ma sono ancora troppo audaci”. La società dei trasporti pubblici di Londra ha infatti ritenuto i cartelloni della campagna promozionale viennese «troppo audaci» per essere esposti in metropolitana, perché recanti disegni espliciti di organi sessuali, e li ha rispediti al mittente chiedendogli di censurare le parti «offensive».
Da qui l’ironica risposta del direttore dell’ufficio austriaco, Norbert Kettner, che ha sì camuffato le immagini, ma con una provocazione che esprime tutto il disappunto per la richiesta inglese. Oltre che a Londra, versioni censurate del manifesto sono apparse anche in Germania, alle fermate dell’autobus di Colonia e Amburgo. Ma può essere un dipinto di nudo paragonato a una qualsiasi immagine pornografica come in realtà tanto spesso se ne vedono nella società odierna? È giusto fare del moralismo su creazioni d’indubbio valore artistico?
Non è la prima volta che il dibattito pubblico si pone tali interrogativi. Uno dei casi più recenti è la petizione, sottoscritta da oltre diecimila persone, per la rimozione dal Metropolitan Museum of Art di New York dell’opera Thérèse che sogna del pittore francese di origine polacca Balthus [pseudonimo di Balthasar Kłossowski de Rola, ndr], perché «romanticizza il voyeurismo e la sessualizzazione di una bambina». Petizione che il museo statunitense ha fermamente respinto (vedi anche Balthus, la censura e l’anestetizzazione della vita). «A questo punto – ha commentato a proposito il critico d’arte Vittorio Sgarbi – suggerisco a tali signori di chiedere al Museo del Bargello di Firenze la censura del David di Donatello, perché raffigura un giovinetto nudo, oppure alla Gemäldegalerie di Berlino di rimuovere l’Amore vincitore di Caravaggio, che ritrae un fanciullino, probabilmente amante dello stesso pittore lombardo, completamente svestito e con sguardo ammiccante. Per non parlare delle varie Madonne rinascimentali con i Gesù bambino nudi in grembo».
Fu sempre Sgarbi, nell’aprile del 2017, a invitare i suoi seguaci di Facebook a contrastare la decisione di cancellare dalla pagina di un utente il dipinto Allegoria del tempo di Guido Cagnacci – perché scambiato per nudo pornografico – condividendolo sulle proprie “bacheche”. Non è raro che la controversa politica del social network faccia discutere di sé per scelte di questo tipo. Facebook utilizza infatti un algoritmo che segnala ed elimina ogni immagine senza veli, per “proteggere” individui della comunità particolarmente sensibili.
In questo modo, tuttavia, entrano nella rete della censura anche contenuti condivisi per obiettivi legittimi, quali i nudi artistici. Women Lovers di Charles Blackman, Il Bacio di Auguste Rodin, L’origine du monde di Gustave Courbet: sono solo alcune delle opere rimosse dall’algoritmo revisore, che successivamente capita vengano riabilitate come innocue dal “doppio controllo” effettuato da lavoratori in carne e ossa (leggi anche L’origine del mondo, Facebook censura l’opera e finisce in tribunale). Spesso l’amministrazione guidata da Mark Zuckerberg si è vista costretta a porgere le sue scuse alle “malcapitate” opere d’arte e ai loro sostenitori. È stato il caso della rimozione dal social dell’immagine della statua del Nettuno bolognese ‒ recentemente restaurato (vedi Bologna: bentornato, Gigante!) ‒ dello scultore fiammingo Jean de Boulogne (scopri la storia completa su Facebook, niente censura al Nettuno di Bologna: “Un errore”).
Il mondo di Internet, è noto, è ricco fautore di controversie su diversi temi; in questo caso il confine tra “protezione” e “censura” è molto sottile e rischia di essere oltrepassato. Certamente non è possibile sostenere che Facebook, la società dei trasporti inglese o chiunque venga coinvolto in tali dibattiti voglia oscurare l’arte, ma resta forte l’impressione che probabilmente algoritmi e mentalità andrebbero rivisti.
Le immagini: una foto dei cartelloni pubblicitari con le opere di Egon Schiele “censurate” nella metropolitana di Londra (dal sito www.fanpage.it); Thérèse che sogna (1938, Metropolitan Museum of Art; dal sito www.grognards2011.it) di Balthus (Parigi, 1908-Rossinière, 2001); L’origine du monde (1866, Parigi, Museo d’Orsay) di Gustave Courbet (Ornans, 1819-Vevey, 1877).
Sara Spimpolo
(LucidaMente, anno XIII, n. 145, gennaio 2018)