Bompiani ristampa il romanzo “L’erede” del narratore ferrarese: una sorprendente predizione di quanto avvenuto con il passaggio di consegne tra Benedetto XVI e Francesco I
La letteratura, come tutte le arti, è, prima di tutto, bellezza, piacere, libertà. E, poi, espressione, scavo, ricerca, rappresentazione, rispecchiamento, interpretazione del reale, trasposizione, evasione, trasfigurazione, sublimazione, ricreazione… e ancora molto altro.
Tuttavia, è sorprendente come talvolta sia prefigurazione, se non vera e propria predizione. È il caso del romanzo di Roberto Pazzi L’erede, dato una prima volta alle stampe nel 2002 per i tipi di Frassinelli, e ora, da pochi giorni, ristampato integralmente da Bompiani (pp. 240, € 11,00). Come mai un libro di undici anni fa è ritornato di tale attualità da dover richiedere una ripubblicazione? La ragione si situa nella singolare rinuncia al soglio pontificio da parte di Joseph Ratzinger (Benedetto XVI), quasi unica nella storia della Chiesa cattolica (pochissimi sono i casi, e il più famoso è quello di Pietro Da Morrone-Celestino V, nel 1294), con l’immediata elezione di Jorge Mario Bergoglio (Francesco I).
Ebbene, una tale situazione era stata appunto prefigurata già nel 2002 da Pazzi con L’erede. Un papa, ormai vecchio, si prepara alla fine del suo mandato. Le sue riflessioni, i suoi ricordi, divengono una sorta di sfogo finale, di spietata analisi dei segreti del Vaticano, degli interessi dello Ior: una lunga confessione che il protagonista del libro immagina di trasmettere al successore. Un umanissimo redde rationem che ricorda quello immaginato da Marguerite Yourcenar ne Le memorie di Adriano (1951).
Emergono nel papa dubbi e incertezze, persino nella fede, ansie che rendono un pesante carico il suo compito di governare la Chiesa cattolica. Come si vede, un’“invenzione” di sorprendente attualità, un’opera in grado di anticipare (nel 2002) e oggi, post eventum, di raccontare il travaglio del Vaticano. E, come al solito in Pazzi, visionarietà e realtà, storia e invenzione, si mescolano grazie a una scrittura soffice e incantevole, che coinvolge il lettore fino all’ultima pagina di un percorso umano individuale e allo stesso tempo emblematico della crisi della Chiesa romana e, al contempo, della nostra epoca.
Per le riflessioni dello stesso Pazzi sulla rinuncia di Benedetto XVI: Una lezione per i politici. Un altro commento sulla questione, a nome di un redattore di LucidaMente, è Benedetto XVI, colui che il “gran rifiuto” (ri)fece… Per altre recensioni della narrativa di Pazzi, comparse sulla nostra rivista: «Fino al cuore dell’eros»; Tornare a casa e trovare un altro se stesso.
(m.d.z.)
(LucidaMente, anno VIII, n. 94, ottobre 2013)
Jorge Mario Bergoglio è a capo di una organizzazione che da poco meno di 17 secoli è alleata e protetta del potere dominante. Se quest’ultimo è tuttavia di volta in volta tramontato per essere sostituito, la Chiesa è rimasta; ed è risorta più volte, nella sua storia, dalle proprie ceneri, in quanto strumento e veicolo essenziale per l’esercizio di quei poteri e per la loro legittimazione. A quei poteri dunque sopravvive, unendosi in matrimonio coi nuovi potenti e i nuovi poteri che incalzano e sostituiscono i precedenti.
Al di là delle inenumerabili gesta criminali operate dalla Chiesa in questi 17 secoli, o delle quali essa è stata mandante o che ha ispirate con la sua ideologia, la Chiesa di Roma costituisce da sempre il più agguerrito fronte antagonista e di negazione dei diritti dell’individuo. Diritti solo recentemente emersi giuridicamente e ancora lontani dall’essere interamente acquisiti e culturalmente e geograficamente affermati. Ed anche nei limiti della loro acquisizione, risultano spesso drogati da stereotipi e pregiudizi generati dalla ideologia cristiana.
Le “gesta”, mediaticamente lodate, di Bergoglio nascono essenzialmente da tre elementi.
1. L’obbligo giuridico di uscire dall’ostinata illegalità internazionale (particolarmente nei campi economico e penale).
2. La disperante impopolarità della Chiesa cattolica.
3. La sua origine latinoamericana, estranea alla formazione secolare presente nelle gerarchie ecclesiastiche europee.
La pre-santificazione di quest’uomo non avrebbe dunque alcun motivo d’essere, dal momento ch’egli fa quel che era inevitabile fare per seguitare le attività finanziarie; che era necessario dire per abbellire l’immagine della organizzazione che guida; che era utile mostrare per recuperare clientela; ed infine quel che è sua naturale espressione di credente latinoamericano.
L’esaltazione del personaggio “Francesco” si fonda piuttosto sul dirompente processo di autoalimentazione dei media globali contemporanei. (Quando il potere mediatico è un esercizio locale o di parte, ha possibilità di diffondersi localmente o in quella data cerchia, ma se esercitato globalmente, diventa irrefrenabile, irresistibile: fa leva sull’istinto conformista del gregge umano. La papolatria ha i suoi più convinti adulatori nella cerchia dei laici e tra gli atei dichiarati)
La pre-santificazione di Bergoglio ha però solide fondamenta scenografiche. In questo senso si fonda sulla smisurata estensione percettiva del settennato di Joseph Ratzinger, a copertura dei 27 anni di sovranità assoluta da parte di Karol Jozef Wojtyla. Tanto prezioso quest’ultimo -in termini economici, politici, strategici e mediatici- alla Chiesa di Roma, da aver meritato un processo precoce e accelerato di canonizzazione a furor di popolo.
E l’opera alacre di questo spregiudicato reazionario (che tanto dovette soffrire l’emarginazione dell’ideologia cristiana ad opera dell’ideologia sovietica), ha saputo costituire un’ostacolo insormontabile per il tedesco Ratzinger. Proprio nella misura in cui oggi rappresenta il lascito benefico, il trampolino di lancio di “Papa Francesco”, sia nell’eredità della potente e oleata macchina politica ed economica della Chiesa, come nella sperimentata propaganda mediatica globale.
Da circa un quarto di secolo c’é chi lavora all’azzeramento dei pochi diritti acquisiti in esigue, privilegiate comunità, e le ideologie religiose e le gerarchie che le rappresentano sono un veicolo di straordinaria efficacia per questa operazione. Se Karol Wojtyla ha confortato da protagonista l’avvio di questo processo di azzeramento, Jorge Bergoglio è stato individuato come strumento strategico per la sua affermazione.