Non chiamiamola “Questione meridionale”, diciamo che si tratta, piuttosto, di “problema meridionale”. E non è un bizantinismo. Esso è divenuto ormai un luogo comune, nel senso che, se si parla del Sud, va da sé che bisogna sbrigativamente parlarne in termini appunto di “questione”. E non sempre ci si accorge che, pur nel tentativo di voler esaminare cause ed effetti di una condizione del Mezzogiorno in genere, si finisce, a causa di una pretesa inestricabilità, per lasciarla inalterata.
L’invito, dunque, è rivolto a critici, letterati e storici, ma ancor più a quanti, occasionalmente o meno, per esigenze giornalistiche rivolgono la loro “attenzione” a quella parte dello stivale d’Italia geograficamente situata a sud della Capitale di oggi e dell’Impero romano di ieri.
Un divario incolmabile? – Dire “questione”, allora, potrebbe assumere il senso ed il significato storico-culturale di una sorta di “ineluttabilità” di una condizione socio-economica di arretratezza. Come se quel gap rispetto al resto d’Italia fosse strutturale e quindi non modificabile. E’ come se “è sempre stato così… ormai”. Ed invece, abbandonare quel termine significa dare speranza a un recupero di memoria e con essa la possibilità di azzerare quel gap e mettersi al passo di un’Europa, la cui propositiva funzione di spinta al progresso dei Paesi aderenti è legata alla reale capacità di avanzamento di ogni singolo Stato nella sua totalità. Né pretendiamo o presumiamo chissà che oltre ogni misura storica. Perché proprio storicamente lo sviluppo del Nord di oggi si è attuato grazie al Sud, in passato sempre al centro di uno stato di benessere, economico e culturale, di cui il bacino occidentale del Mediterraneo è stato fertile teatro.
Una posizione strategica – Non dimentichiamo come le regioni del Mezzogiorno abbiano costituito gli approdi privilegiati delle democrazie e delle conquiste imprenditoriali dell’Oriente. Che, se nel corso della storia una duplicità di fatti ed eventi, più o meno contestuali, abbiano spostato un “mercato”, divenuto sempre più fiorente e a beneficio di attori e protagonisti, al Centro-nord, questo non può finire per penalizzare nel tempo la gente del Sud. La cui condizione di riscatto non è stata certamente favorita da quel vero e proprio sistema di colonizzazione dei vari “governi” imperiali che si sono succeduti sui territori meridionali. Così come queste stesse dominazioni non hanno favorito (inutile attenderselo?) uno scatto culturale della gente di allora, magari con una graduale scolarizzazione. Il profitto dei “padroni” di ieri, oggi spregiudicato liberismo economico di novelli managers, non ha dato alcuna spinta all’avanzamento che i tempi andavano disegnando. D’altronde, che una potenzialità culturale fosse stata trattenuta per lungo tempo, e a danno delle stesse generazioni rimaste incolte e povere, lo testimonia la determinazione con cui quelle popolazioni hanno cercato di “recuperare” non appena si aprivano spiragli di scolarizzazione e di acculturazione, non disgiunti da opportunità, legislative e non, in campo economico.
Una crescita frenata dal potere – Altra cosa è una sorta di subalternità che le classi dominanti del Sud, potentati economici e politici, sono andati dimostrando nei confronti di una sedimentata egemonia politica romana così come di quella finanziaria del Centro-nord. Il che ha indubbiamente frenato un processo ed un cammino che poteva essere spedito, come avrebbero voluto sparute singolarità eccezionali della politica meridionale. Per altro verso, la dimostrazione della intrinseca capacità intuitiva ed organizzativa dell’uomo (leggasi umanità) del Sud consiste nell’immediata affermazione della sua personalità culturale nell’espletamento delle funzioni alte che gli vengono affidate. La sua morigerata ambizione è la molla tecnica, oltre alla disponibilità (leggasi oggi mobilità professionale) del lavoratore del Mezzogiorno a qualsiasi livello. Dunque, è il caso che scrittori, giornalisti e studiosi rimuovano quella sorta di “handicap” che abitualmente ricade sul Meridione con l’uso del termine di “questione”, da sostituire con un più opportuno “problema”. Ciò nella convinzione e nell’auspicio insieme che tale capovolgimento lessicale giovi a rimuovere reali vincoli culturali e comportamentali di quanti si propongono a rappresentare il Sud nelle istituzioni-chiave, e, senza la incultura del potere-servizio, si promuova il dovuto progresso negatogli per troppo tempo.
L’immagine: In vedetta (1868-1870) di Giovanni Fattori (1825-1908).
Alberto Volpe
(LucidaMente, anno I, n. 12, dicembre 2006)