Il futuro del Belpaese è affidato al voto sulla riforma costituzionale voluta dal Governo Renzi che potrebbe modificare radicalmente la democrazia italiana
Il 4 dicembre 2016 si voterà per decidere se confermare o respingere la riforma della Costituzione italiana approvata dal Parlamento lo scorso aprile. L’esito della consultazione – per la quale non occorre il quorum del 50%+1 degli aventi diritto al voto – appare incerto e gli ultimi sondaggi prospettano un testa a testa tra il “Sì” e il “No”, con un ampio numero di elettori ancora indecisi. Quanti italiani, tuttavia, sanno esattamente su cosa si voterà?
Il Disegno di legge costituzionale n. 2613-D – firmato da Matteo Renzi e Maria Elena Boschi – introduce molti cambiamenti che non sempre emergono chiaramente nei dibattiti pre-elettorali. Ne indichiamo di seguito i principali: a) la Camera dei deputati vota la fiducia al governo e approva il bilancio dello Stato; b) i senatori, ridotti da 315 a 95, non sono più eletti dai cittadini, ma nominati tra i consiglieri regionali (74) e i sindaci (21); a essi si aggiungono anche 5 personalità scelte per un quinquennio dal presidente della Repubblica; c) le leggi più importanti (costituzionali, concernenti l’adesione alla Ue, ecc…) seguono l’iter bicamerale, mentre le ordinarie sono approvate dalla sola Camera (il Senato, però, potrà proporre modifiche non vincolanti); d) il termine per convertire i decreti legge passa da 60 a 90 giorni; e) le Province spariscono e le Regioni trasferiscono allo Stato le competenze su materie d’interesse nazionale (ambiente, beni culturali, energia, infrastrutture, turismo, ecc…); f) cambia il sistema per designare il presidente della Repubblica: viene eletto da deputati e senatori senza delegati regionali; dal quarto scrutinio ci vuole la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea, mentre dal settimo quella dei tre quinti dei votanti (vedi Disegno di legge costituzionale, in www.senato.it).
La riforma Renzi-Boschi contiene anche altre novità: sono introdotti i referendum popolari propositivi e d’indirizzo; i referendum abrogativi, per indire i quali occorre la raccolta di almeno 800 mila firme, saranno validi se si recherà alle urne la maggioranza dei votanti delle ultime elezioni politiche; passa da 50 mila a 150 mila il numero di sottoscrizioni necessarie per proporre le leggi d’iniziativa popolare (che andranno necessariamente discusse in Parlamento); un quarto dei deputati o un terzo dei senatori può chiedere alla Corte costituzionale un giudizio di legittimità sulle leggi elettorali, prima della loro promulgazione; viene abolito il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), un organo consultivo che supporta Governo, Parlamento e Regioni; cambia la modalità di nomina dei giudici della Corte costituzionale, scelti dal Parlamento (tre sono eletti dalla Camera, due dal Senato).
Le modifiche vanno collegate all’Italicum, la legge elettorale che ha introdotto il ballottaggio tra le due prime liste assegnando un grosso premio di maggioranza a chi vince. Il referendum, pertanto, riveste un rilevante valore politico, ma sulla scheda elettorale gli italiani troveranno un quesito vago e ambiguo, che non entra nel merito delle questioni e sembra orientare il voto verso il “Sì”: «Approvate voi il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?». Era certamente meglio consegnare agli elettori più schede con i quesiti specifici, ma è prevalsa l’idea di semplificare l’iter delle votazioni.
I sostenitori del “Sì” insistono sugli aspetti “tecnici” della riforma. Il filosofo Marcello Pera, ad esempio, ha enfatizzato l’intento del governo di«rendere il funzionamento della repubblica più efficiente, più snello, più simile a quello medio europeo», paventando, in caso di vittoria del “No”, «una paralisi politica senza sbocchi, pericolosa per la democrazia» e «una crisi finanziaria gravissima anch’essa foriera di avventure antidemocratiche» (vedi Marcello Pera, Perché io, già in Forza Italia, voterò sì al referendum sulla Costituzione, in formiche.net). Un altro cavallo di battaglia del “Sì” è costituito dalla riduzione dei costi della politica che si aggirerebbe intorno ai 49 milioni di euro annui grazie alla diminuzione del numero dei senatori, ai quali andrebbero poi aggiunti i risparmi derivanti dall’abolizione delle Province e del Cnel (vedi Luca Sappino, Per Boschi l’ottimista “Vale 10 miliardi”. Ma quanto si risparmia col nuovo Senato?, in espresso.repubblica.it).
Più articolate appaiono le ragioni del “No”. I giornalisti Marco Travaglio e Silvia Truzzi – autori del libro Perché No (PaperFirst, pp. 204, € 12,00) – hanno indicato molti motivi per votare “No”: «I risparmi del nuovo Senato […] sono irrisori»; «il nuovo Parlamento sarà formato da membri in gran parte non eletti dai cittadini, ma nominati dalla casta»; «la “riforma” regala l’immunità parlamentare a 100 fra sindaci (21), consiglieri regionali (74) e rappresentanti del Quirinale (5)»; «continueremo ad avere una Camera e un Senato che si rimpalleranno le leggi col classico sistema bicamerale»; «si ripristina il famigerato “interesse nazionale” […] per vampirizzare le autonomie» (vedi Marco Travaglio e Silvia Truzzi, Referendum riforme, il libro che spiega “Perché No” al Senato dei nominati-immuni, in ilfattoquotidiano.it). Il costituzionalista Gustavo Zagrebelski, inoltre, teme «un progressivo svuotamento della democrazia a vantaggio di ristrette oligarchie» (vedi Ezio Mauro, Referendum, Zagrebelski: «Il mio No per evitare una democrazia svuotata», in repubblica.it).
Sebbene qualche aspetto della riforma Renzi-Boschi sia condivisibile, tuttavia ci appaiono molto fondate le preoccupazioni di chi ritiene che possa favorire l’avvento di un regime oligarchico. Insieme all’Italicum, infatti, essa consentirà al partito di maggioranza di condizionare fortemente il Parlamento e di influire sulle nomine delle principali figure istituzionali (il presidente della Repubblica, i membri della Consulta e del Consiglio superiore della magistratura scelti dal Parlamento, ecc…). Il passato dell’Italia, contrassegnato dalla dittatura e dal trasformismo, suggerisce molta prudenza: è azzardato consegnare il Belpaese nelle mani di un “uomo forte” con un governo eletto da un ristretto numero di cittadini. Il referendum, alla fine, si trasformerà inevitabilmente in un secco plebiscito pro o contro Renzi che deciderà le sorti del leader fiorentino e della democrazia italiana.
Le immagini: Matteo Renzi e Maria Elena Boschi (fonte: lettera43.it); la scheda elettorale del referendum costituzionale (fonte: lastampa.it); Marco Travaglio e Silvia Truzzi (fonte: problemiquotidiani.blogspot.it).
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno XI, n. 131, novembre 2016)
Le ragioni del no appaiono velleitarie, di parte e simili a quelle sciagurate che impedirono alla DC di avviare il cambiamento nel paese, che ci avrebbe portato a stabilità politica e possibilità di fare scelte certe e non compromissorie da parte dei vincitori delle elezioni politiche.
Mi riferisco alla cosiddetta “legge Truffa”, da cui poi la perenne impossibilità di avere governi di legislatura, ma invece di assistere ad una gestione sempre più caotica del nostro paese.
Mi auguro, ma ho molti dubbi, che prevalga la voglia di dare una svolta per il bene di tutti.
Nel caos si sguazza meglio e gli italiani amano tutto ciò perchè consente loro fare i loro affari…
Penso che voterò NO, ma solo per disgusto verso la politica e l’ipocrisia imperante del “politicamente corretto” , anche se constatare di votare come i distruttori dell’Italia e i teppisti rossi mi fa venire la nausea. Cordiali saluti, Tripodi, e ciao – Marco Mengoli
Anche fra i lettori di “LucidaMente” il voto è per o contro il Governo Renzi. Se Matteo Renzi non è simpatico per la sua arroganza, non si vota il governo ma la legge, siamo obbligati per la vigente Costituzione al referendum, visto che non ha raggiunto la maggioranza qualificata in Parlamento.
A mio avviso, se siamo, come ci diciamo essere, democratici, non dovremmo manipolare le parole e la realtà. Quindi condividiamo gli articoli della nuova legge? O non li condividiamo? Sarebbe stato più opportuno suddividere i quesiti, ma in pochi hanno fatto questa battaglia.
Che qualche cosa non funzioni nelle regioni di oggi, lo vediamo nel traffico e nella mobilità: i pendolari attraversano regioni confinanti con trattamenti diversi, con tanti e troppi disservizi!
Poi, in un paese che si immagina democratico, un governo lo si fa cadere per motivi che lo riguardano pensando che ci possa essere un governo migliore. Ma ci può essere oggi un governo migliore e con una maggioranza stabile: possono stare insieme i grillini con la lega, i verdolina e fratelli d’Italia? Sarebbe un governo migliore? A voi l’ardua sentenza!
Ma al referendum votiamo per il referendum. mt
Voterò NO senza incertezze. Non ho mai condiviso le scelte di Renzi, l’ho considerato fin dal principio un “berlusconino”. Vorrei poter parlare bene della Boschi perché è una donna, la trovo molto bella, ma la sua riforma fa acqua da tutte le parti.
Voto NO!
L’Italia degli inciuci e dei Trump che qui restano per vent’anni (Berlusconi) ringrazia i tanti che porteranno l’acqua con le orecchie ai protagonisti della spartizione, agli irriducibili, a quelli che non se ne vogliono andare. Il Sì è l’approdo di un lungo travaglio di cambiamento cominciato nel ’92. Al di fuori del sì la prospettiva è ritornare alla tassazione pesantissima sulla casa.
La riforma, per valere un Sì, deve prima essere scritta tutta anche nei dettagli. Voto NO per questa semplice ma basilare ragione.
Io voto sì perché ho 83 anni, il che significa che per almeno 60 anni ho visto che le nostre leggi vengono approvate, dopo un lunghissimo palleggio tra Camera e Senato, in tempi biblici. Oggi, se vogliamo risollevarci, occorre essere più efficienti.