Cercate uno stile di vita ecosostenibile fondato sulla collaborazione reciproca? Cohousing!
Passiamo l’uno a fianco dell’altro come fossimo estranei; entriamo e usciamo da appartamenti sullo stesso pianerottolo borbottando un «buongiorno» poco convinto; l’unico spazio in comune è un giardino incolto su cui giacciono sedie in plastica; i posti auto diventano terreno di guerra; alle riunioni partecipano solo coloro che hanno qualcosa da rimproverare agli altri. È la maggior parte della realtà condominiale che ci circonda, inserita in una rete sociale che, a più ampio spettro, ne è l’esatta riproduzione.

Il Cohousing è soprattutto una scelta di vita. Generalmente si tratta di un insediamento di venti/quaranta unità abitative in cui famiglie e single si scelgono a vicenda per dar vita, attraverso un processo di progettazione partecipata, a una comunità residenziale in grado di dare benefici sociali ed ecologici: la condivisione di spazi, attrezzature e risorse agevola la socializzazione e la cooperazione tra gli individui, mentre le pratiche di risparmio energetico diminuiscono l’impatto ambientale. A questo si aggiunge la riqualificazione territoriale di casolari e borghi abbandonati, che così tornano a nuova vita.
Il progetto prende vita Per avviare un progetto di Cohousing serve, prima di ogni altra cosa, il gruppo che vorrebbe costituirsi in comunità: un insieme di persone che decidono consapevolmente di vivere secondo i dettami di sobrietà, condivisione e solidarietà. Generalmente, si tratta di persone over trenta, con prole o senza, che hanno raggiunto una stabilità economica e si sentono pronti a investire le proprie risorse in un progetto concreto. Individuati i membri, occorre definire quali sono le diverse esigenze abitative del gruppo, soprattutto in termini di spostamenti rispetto al luogo di lavoro e alle famiglie di origine che, per chi ha la fortuna di averla, sono spesso un appoggio fondamentale.Quindi, si va alla ricerca di un borgo che risponda ai bisogni individuati, con tutti i problemi burocratici e amministrativi del caso. Infatti, è quasi inevitabile scontrarsi con il radicato conformismo di tecnici e amministratori comunali, poiché si sconvolge completamente la loro visione tradizionale degli insediamenti familiari. Far accettare l’idea che una sala di un edificio sia “comune” e di proprietà collettiva è più complicato di quel che può sembrare: probabilmente non tanto per i cavilli burocratici, ma per la concezione diversa di “abitare” e di condividere gli spazi con “estranei”.

Come in un ordinario condominio, esiste un amministratore, nominato a turno tra i cohouser, che si occuperà della supervisione degli spazi comuni e dei lavori di manutenzione. Questo aspetto fa in modo che non esista una precisa struttura gerarchica, ma che ruoli e responsabilità siano definiti sulla base del consenso dei membri, eliminando il tradizionale sistema oligarchico e alternando frequentemente i compiti. Il tutto in un ambiente sicuro, preservato con ugual interesse da ogni membro: il Cohousing nasce come comunità, ma gli abitanti finiscono per trasformarlo in una vera e propria famiglia su cui poter sempre contare.
Aree comuni e spazi privati Decidere di abbracciare questo modello di vita significa ridurre la complessità quotidiana, lo stress e i costi di gestione in favore di una decrescita consapevole e felice: ciò che acquista valore è la comunione dei beni materiali e la riscoperta dei rapporti umani. Inoltre, la condivisione consente di risparmiare sul costo della vita e di accedere a beni e servizi altrimenti troppo onerosi. In base alle esigenze dei membri, infatti, è possibile creare stanze per gli ospiti, laboratori per il fai da te, piccole nursery per i più piccini, palestre, piscine, biblioteche, lavanderie in comune, orti, una portineria, Gruppi di acquisto solidale (Gas) per abbattere i costi dei beni di largo consumo e anche la comproprietà di alcune macchine: tutto realizzabile a gestione interna e su base volontaria.Allo stesso tempo, la privacy individuale degli abitanti è garantita: l’appartamento rimane proprietà privata e i tempi di vita di ognuno vengono pienamente rispettati. Siccome una delle finalità ultime del Cohousing è cementare i rapporti interpersonali, è prassi dei residenti organizzare settimanalmente cene o pranzi nelle sale comuni, che accoglieranno i membri senza nessun obbligo o rimostranza in caso di assenza. Rimane implicita, ovviamente, la filosofia portante della comunità, che non deve essere considerata come un grande albergo o condominio in cui rincasare dopo il lavoro: ciò che si crea è una comunità intergenerazionale che prova piacere nel riunirsi e mettere a disposizione di chiunque ne abbia bisogno il proprio tempo e le proprie competenze.

Castel Merlino a Monzuno (Bologna), “Terracielo” a Rodano (Milano), “Il mucchio” a Monte San Pietro (Bologna), Quayside Village in Canada, Eastern Village Cohousing a Washington Dc, Pinakarri Community in Australia, Ibsgaarden Cohousing Project in Danimarca, Gemeenschappelijk Wonen Project nei Paesi Bassi e molti altri esempi analoghi ci insegnano che questo è possibile, basta volerlo.
Le immagini: dal banner del sito italiano dedicato al cohousing http://www.cohousing.it/.
Jessica Ingrami
(LM MAGAZINE n. 20, 15 ottobre 2011, supplemento a LucidaMente, anno VI, n. 70, ottobre 2011)
Comments 0