Gli occidentali e gli italiani sono anziani, tristi, depressi, rancorosi. Fa pertanto piacere scorgere in occhi “stranieri” la speranza, il sorriso, l’attenzione verso gli altri
In un altro nostro scritto (Autodisprezzarsi: l’oicofobia) abbiamo affermato che «fino a pochi decenni fa l’Italia era tra le nazioni più felici e allegre del mondo e tra le più caratterizzate come identità. Ad esempio, il maschio latino era sinonimo di fierezza, fascino e virilità. Le coppie italiane di prolificità. Per non parlare del buon gusto, della classe, dell’eleganza. Oggi il Belpaese è quasi in fondo alle classifiche sulla gioia di vivere e, del resto, basterebbe guardare i dati sulla natalità: non si fanno più figli, ci si estinguerà. E le civiltà tramontano non solo per i nemici esterni, ma tanto più per quelli interni, che fanno sì che non credano più in se stesse, nei propri valori, nella propria importanza e bellezza, quasi come se volessero morire».
Ancora esseri umani
È pur vero che si tratta di un lungo processo dovuto non solo alle dinamiche socioeconomiche e quindi demografiche, ma anche a tendenze guidate dall’alto, dai poteri forti e occulti, mediante strumenti subdoli quali il politically correct, il wokeismo e la cancel culture. Ma resta il fatto che, girando per strada, è abbastanza facile scorgere degli sguardi puliti, aperti, pieni di speranza, in molti immigrati, soprattutto quelli di colore. E dei sorrisi umani e sinceri. Non solo. Forse anche perché si tratta di persone isolate, in difficoltà, emarginate, intimorite, sole, ci si può amabilmente salutarsi e chiacchierare, magari in francese o inglese, con loro piuttosto che con un italiano.
Intendiamoci. Non siamo mai stati buonisti, accoglientisti, terzomondisti, bergogliani, e riteniamo l’immigrazione di massa una iattura sostenuta da una parte dalle sinistre, per ideologia e cecità, oltre che per il sostanzioso business dell’accoglienza (leggi A chi i profughi? A noi!), e dall’altra da chi ha tutto l’interesse ad avere manodopera a basso costo (il famoso, marxiano, «esercito industriale di riserva») e disperati che si scontrano con altri disperati per un tozzo di pane, la sanità, la scuola, la casa, ecc., mentre scompaiono le sicurezze dello Stato sociale.
C’è da aggiungere che molti immigrati delinquono (e non solo per necessità), creano nuove mafie, anche più violente e spietate di quelle italiane. Soprattutto i migranti di religione islamica sono portatori di una cultura rigida, misogina, difficilmente compatibile con la civiltà liberale occidentale.
La «Grande sostituzione», inevitabile, forse auspicabile
Ma, intanto, cosa è divenuta la maggioranza degli italiani? Anziani rancorosi, spesso benestanti senza figli né, ovviamente, nipoti, persone chiuse, che badano solo a se stessi e a spendere il notevole denaro accumulato in consumi idioti, viaggi da cui tornano più ignoranti di prima di essere partiti. E i giovani non sono migliori. Spesso figli unici, viziati, alla perpetua ricerca di futili divertimenti che possano riempire un vuoto interiore assoluto, talvolta tossicodipendenti. Tutti, vecchi e “ragazzi”, non si guardano intorno, non dialogano, non ascoltano né, quindi, s’interessano agli altri, incollati dietro gli smartphone e resi sordi dalle cuffiette.
Non bisogna certo eccedere e cadere nell’eccesso opposto rispetto all’intolleranza e all’ignoranza (definirla “razzismo” è concettualmente errato perché il razzismo è un’ideologia, una filosofia, seppure aberrante). Eppure, riprendendo i versi di una vecchia poesia di Umberto Saba (Città vecchia, 1912) riferiti al popolino di Trieste, «Qui degli umili sento in compagnia / il mio pensiero farsi più puro / dove più turpe è la via».
Analogamente, facendo un po’ di volontariato, o anche solo dialogando con gli immigrati per qualche minuto in parrocchia, presso i centri di accoglienza, per strada, in questi giovani belli, sani, «abbronzati» (come avrebbe detto bonariamente Silvio Berlusconi), che puoi guardare negli occhi e ti guardano negli occhi, ritroviamo ancora l’ingenuità, il rispetto dei rapporti umani, il senso di comunità e solidarietà, la fede, che da noi si sono da tempo perdute.
E, allora, provocatoriamente, si può anche auspicare la «Grande sostituzione»…
Le immagini: a uso libero e gratuito da Pixabay secondo la Licenza per i contenuti (foto di fbartondavis, Roses_Street e marsjo; i volti non appartengono a persone reali, ma sono stati elaborati tramite intelligenza artificiale).
Rino Tripodi
(Pensieri divergenti. Libero blog indipendente e non allineato)