Una vita vissuta intensamente è il titolo dell’Introduzione di Valentina Conti a Bagliori di luna. Taccuino intimo di un percorso incompiuto (pp. 68, € 12,00) della giornalista siciliana Katia Manenti, nona uscita della collana di narrativa La scacchiera di Babele delle nostre edizioni. Vediamo come la direttrice della collana descrive l’opera.
“Quand’ero piccola, amavo disegnare e nonna Maria diceva sempre: “Da grande farai la fumettista o la vignettista”. Io sorridevo tutta gongolante, ma in realtà già lo sapevo che quello non era il mio futuro. Man mano che crescevo scribacchiavo, qua e là, fogli, foglietti, appunti, pensieri, diari, lettere, molte lettere agli amici dell’adolescenza e soprattutto al mio fidanzatino milanese.
[…] Insomma scrivere, leggere e ancora scrivere è parte di me!
Comunicare scrivendo. Ecco cosa intendo.
[…]
Ora sono qua, al lavoro davanti al mio pc che penso e dico: “Tanti scrivono libri, perché io no? In fondo sono una giornalista anche se poco o niente conosciuta quindi è attinente, no?”.
Il problema è il soggetto. Mettersi a nudo è terribilmente difficile, raccontare di sé in modo schietto e diretto è cosa gravosa se decidi di non inventare una storia“.
Così si apre Bagliori di luna, il primo romanzo di Katia Manenti, autrice esordiente che, con tale opera, ci accompagna alla scoperta delle propria vita.
Da sempre appassionata di arte in tutte le sue manifestazioni, attualmente lavora a Palermo a capo di un ufficio stampa. E’ giornalista e tutt’ora collabora con magazines cartacei e on line interessandosi di svariati argomenti in ambito di arte e moda.
Con questo testo, prova dunque a confrontarsi con un nuovo genere, il romanzo, scegliendo l’autobiografia. Ci troviamo così di fronte a un racconto in cui la narrazione è impostata cronologicamente e si dipana seguendo la crescita della protagonista ma, contemporaneamente, presenta un andamento mosso e dinamico. Gli avvenimenti narrati infatti – come ci suggerisce anche il titolo – si susseguono come una serie di bagliori di luna, ossia l’autrice non si dilunga in un resoconto puntuale e dettagliato di tutto ciò che le è accaduto nell’arco della sua esistenza, ma ci rende partecipi di quegli eventi fondamentali che hanno lasciato in lei un segno profondo.
Addirittura, talvolta il lettore è quasi portato a calarsi nei panni della protagonista, immaginando le proprie reazioni in situazioni simili fin quasi a rivivere la propria vita attraverso la sua.
Katia Manenti, dunque, a un certo punto ha sentito il bisogno di raccontarsi e, allo stesso tempo, di raccontare. Scrivere diventa per lei un modo per comunicare sia con se stessa che con gli altri, è una sorta di “riscatto dalla vita”. In fondo, attraverso la sua opera, lancia anche un messaggio: quello di vivere la propria esistenza assaporando ogni momento e facendone tesoro nel bene e nel male perché vivere è questo, affrontare ogni situazione che ci viene incontro.
Nel libro sono trattate tante tematiche più o meno delicate e più o meno personali, ma ciò viene fatto sempre con naturalezza e semplicità. L’autrice non usa giri di parole o metafore, va dritta al punto. Il ritmo perciò è veloce e diretto, le vicende sono narrate quasi come aneddoti che si susseguono e il lettore si sente inevitabilmente parte delle situazioni in cui si è trovata Katia sia perché si tratta di situazioni legate al quotidiano e quindi vicine all’esperienza di ognuno, sia perché lo stile utilizzato, lineare e spontaneo, e l’immediatezza della narrazione, rendono il testo estremamente fruibile e scorrevole.
Predominano periodi brevi, incisivi ed efficaci; l’autrice dialoga o, meglio, rivela al lettore la propria storia. Le vicende narrate sono situazioni in cui, potenzialmente, si potrebbe trovare ogni persona e forse, è proprio questa attualità e “normalità” del racconto a stimolare in ciascuno anche una riflessione sulla propria vita e sul proprio bagaglio di esperienze.
Vengono narrate circostanze felici come la gioia provata scoprendo un’inattesa quanto desiderata gravidanza:
“Il mio Lorenzo era là, era un puntino bianco e prorompente in tutta quell’oscurità del mio utero. Era là, spiccava come una goccia di latte su un caffè nero che più nero non si può.
Ero in estasi ed ero felice per la mia famiglia. Sapevo che la notizia avrebbe giovato a tanti animi oltre che al mio. E’ stato inevitabilmente così”.
Ma sono affrontati anche episodi difficili come la malattia:
“Era un susseguirsi di ipotesi, un sussurrare di eventualità, casistiche, statistiche, terapie, tempi eccetera.
Improvvisamente ti senti inghiottita in un vortice di pensieri che corrono più veloce di te. La vita cambia, sei a una svolta, combattere o arrendersi e soggiacere.
Gli esami erano sempre più approfonditi. Una continua ricerca della verità e un voler non sapere. E lei era là, pietrificata dalle sue paure, prigioniera di se stessa. Pregava e piangeva, non usciva dalla sua stanza. Anch’io piangevo, ma davanti a lei non dovevo, non potevo permettermelo per non turbarla ulteriormente. Un gioco delle parti dove tutti sanno e nessuno ammette. Una situazione pirandelliana. Un silenzio costruito, artefatto.
[…] A cosa ti aggrappi allora? Tutto diventa terribilmente più difficile e il baratro si allarga sempre più”.
Si parla dell’amore, della sua scoperta, dei sacrifici che richiede, di quanto arricchisca chi lo riceva, ma si affronta anche il dolore dovuto alla sua fine e al tradimento. I sentimenti, insomma, vengono sondati in tutte le loro espressioni e in tutta la loro varietà.
In realtà l’opera va a inserirsi in un genere – l’autobiografia – che ha una storia molto lunga e articolata. Si tratta infatti, di un tipo di testo che nel tempo si è evoluto e modificato, tanto che la vicenda narrata talvolta ha perso il suo valore di semplice racconto di vita per assumere molteplici significati simbolici e allegorici ma che, sicuramente, ha sempre esercitato un notevole fascino sui lettori.
La più antica che si ricordi è le Avventure di Sinuhe, un testo egiziano risalente ai secoli XI-X a.C. che riporta le avventure di un funzionario di palazzo vissuto ai tempi della congiura contro il faraone Amenemhat I (1994-1964 a.C. durante la XII dinastia), di cui era fedele servitore. Il romanzo ne racconta le peripezie durante la sua fuga in Palestina, la vita presso il principe siriano che lo accoglie e di cui sposa la figlia e infine, ormai vecchio, il suo ritorno in Egitto. Peculiarità della storia è proprio il fatto che venga riferita da Sinuhe come se parlasse dall’aldilà; questo ha portato a credere che il testo fosse stato ispirato da un’autobiografia vera incisa sulle pareti di una tomba, anche se altri studiosi la ritengono un’opera di pura finzione che si inquadra nel filone della letteratura di propaganda lealista a vantaggio del faraone successivo Senusert.
A prescindere dalla distanza temporale che separa le Avventure di Sinuhe e Bagliori di luna, quello che indubbiamente colpisce è proprio come, a distanza di secoli, il racconto delle vicende umane sia sempre un soggetto che attira il lettore, il quale può trovare negli avvenimenti narrati situazioni, sensazioni e emozioni che lo portano a condividere con il protagonista ogni riga della sua avventura.
Sicuramente non possiamo dire nient’altro della vita e della personalità di Katia Manenti che il lettore non scoprirà direttamente dalle parole dell’autrice. Sarà lei stessa a parlarci di sé. Tuttavia, è ancora una volta il titolo dell’opera che ci può suggerire qualcosa. Se i bagliori ricordano lo stile con cui sono riportate le vicende narrate, la luna può rappresentare proprio la protagonista. In fondo, questo corpo celeste con la sua ciclicità ci ricorda proprio l’avvicendarsi della vita e delle esperienze di ognuno. La vita si attraversa, una fase dopo l’altra, ci possono essere momenti calanti e momenti crescenti ma, come la luna, si può sempre rinascere.
(Valentina Conti, Una vita vissuta intensamente, Introduzione a Bagliori di luna. Taccuino intimo di un percorso incompiuto di Katia Manenti, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: la copertina del libro di Katia Manenti.
Eva Brugnettini
(LucidaMente, anno IV, n. 37, gennaio 2009)