Lettera aperta di un nostro lettore al presidente Napolitano: evidentemente non siamo tutti uguali davanti alla legge
Presidente, ieri sera lei ha tenuto il suo tradizionale discorso di fine d’anno agli italiani e, dal momento che non ha avuto modo di soffermarsi sull’argomento che appresso tratterò, a qualche ora dal suo messaggio, io mi sono determinato a scriverle in merito una lettera aperta.
Il suo provvedimento in favore (perché di favore si tratta) del direttore de il Giornale, Alessandro Sallusti, di commutazione della pena detentiva in un un’ammenda pecuniaria di 15.325,00 euro ha, a mio avviso, inferto una grave ferita alla Costituzione. Che presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari, adottino provvedimenti e leggi ad personam o a tutela della cosiddetta “casta”, o meglio delle “caste”, è un vezzo di cui la gente soffre, è disgustata, ma al quale sembra essersi anche assuefatta. Che una cosa del genere promani dal presidente della Repubblica, «custode e garante del rispetto dei princìpi fondamentali della Costituzione» disorienta, allibisce, sconforta e fa concludere che ormai tutto è possibile, purché a beneficiarne sia qualcuno che è qualcosa in più di un semplice cittadino.
Le assicuro che non è un senso di appartenenza diversa dalla visione sociale e politica del direttore Sallusti che mi spinge a scrivere. Fosse stato protagonista della vicenda un direttore o un giornalista di qualsiasi testata di qualsivoglia orientamento, il mio pensiero non soggiacerebbe ad alcuna, benché lieve, modifica, e non è omologabile a quello di quanti scrivono per pura avversione di parte senza fare a meno di cadere, all’occorrenza, nella pratica di invocare, per situazioni identiche, gli stessi benefici. Non è nemmeno l’esiguo corrispettivo economico valutato a sollecitare i miei moti d’animo: fosse stato anche un milione di euro, il prezzo del baratto non cambierebbe la mia considerazione.
Alessandro Sallusti è stato condannato a una pena detentiva per aver pubblicato, sul giornale di cui è direttore responsabile, un articolo ritenuto diffamatorio e, anche prescindendo dal fatto, pubblicato da tanti giornali e telegiornali. Ed è solo l’ultima di una serie di condanne collezionate per lo stesso reato. La domanda da porsi è una sola: Il reato è stato commesso? Una legge esistente del nostro ordinamento è stata violata o no? Se la risposta è affermativa, la sentenza di condanna è dunque giusta e il colpevole avrebbe dovuto scontare la sua pena. Se la legge è ingiusta – e io non ritengo che lo sia – si cambia la legge, ma, finché non intervengono modifiche ad essa, esiste solo un imperativo: garantirne l’applicazione, con tutte le tutele e i benefici che la Costituzione e la legge stessa prevedono. Ormai possiamo dire che i giornali non solo possono e devono informare, ma possono anche impunemente diffamare. Il problema della libertà di stampa e delle garanzie da dare agli operatori dell’informazione e ai diritti inviolabili dei cittadini è un peso molto grande e non è mia intenzione affrontarlo in questa sede.
La cosa che stride e che offende è che per nessun comune cittadino, anche per reati molto meno gravi, si sarebbe arrivato a tanto. È nelle prerogative del capo dello stato concedere la grazia a determinate condizioni e nel rispetto di tutto l’iter e dei pareri all’uopo richiesti dalla legge stessa e certamente, sotto un profilo squisitamente formale, il provvedimento adottato sarà stato, forse, ineccepibile. Ma il principio dell’uguaglianza dei cittadini rispetto alla legge è stato vilipeso, calpestato, annullato. Per quale altro comune cittadino si sarebbe svolto tutto così velocemente in modo da evitare che un direttore di giornale scontasse anche un solo giorno di carcere della condanna ricevuta? Per quale altro comune cittadino ci si sarebbe serviti del concetto di «valutazione della inadeguatezza della legge» (sic!)? Per nessun altro certamente, se non per un altro potente. Un provvedimento di questo genere, a mio avviso, è più grave di qualsiasi episodio di malcostume politico o sociale anche penalmente rilevabile e, permetta, presidente, ai miei occhi offusca, e non poco, il suo ruolo, mi ripeto, di «custode e garante dei principi fondamentali della Costituzione».
La sofferenza per questo episodio per me è stato ancora più lacerante perché intervenuto subito dopo la sublimazione popolare che la televisione di Stato, solo pochi giorni prima, aveva fatto della nostra “Carta” per bocca di Roberto Benigni. Nel mentre, con una mano, si avvicina il popolo all’amore per la nostra “sacra” Costituzione, con l’altra, il giorno dopo, gli si dimostra come sia conssentito, a chiunque possa permetterselo, di ignorarla, calpestarla, se non addirittura annullarla. Con quel provvedimento, presidente, lei ci ha detto e dimostrato che non siamo tutti uguali di fronte alla legge. Presidente, a lei questo episodio non avrà tolto il sonno; forse il suo trascorso politico-istituzionale l’ha abituato (o assuefatto?) a questo e ad altro… io non ho dormito, io ho provato VERGOGNA, la stessa che ho provato per i miei errori quando ne ho commessi. Presidente, sono OFFESO.
Roberto Iosca, cittadino italiano
(LucidaMente, anno VIII, n. 85, gennaio 2013)
ho mandato una lettera, più o meno con gli stessi contenuti, direttamente al presidente Napolitano – finora non ho ricevuto risposta
Lucilio Santoni
Grazie della comunicazione. Vedremo, ma temo il silenzio… assenso del favoritismo e della disuguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
La legge è da sempre disuguale per tutti i cittadini comuni, il caso Sallusti lo ha dimostrato ancora e più di una volta che in Italia non vige una democrazia vera e reale dove i cittadini sono tutti uguali ed hanno tutti le stesse opportunità, ma un regime dove alcune caste fanno e disfano a proprio piacimento.