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Home VECCHI ARTICOLI IL PIACERE DELLA CULTURA

Islam a Bologna tra crisi e insulti

Dalla redazione by Dalla redazione
27 Dicembre 2008
in IL PIACERE DELLA CULTURA
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Il nome maschile più comune a Bologna è Andrea, 4.713 Andrea vivono accanto a 5.557 Maria. D’altra parte, sempre a Bologna, ci sono anche 336 Mohamed, declinato anche in Mohammed o Muhammad o Mohammad, che si piazza sul podio come nome maschile più diffuso tra gli stranieri residenti a Bologna.
Ironia della sorte, la medaglia d’oro per il nome femminile più frequente spetta di nuovo a Maria, con 440 donne straniere che si chiamano così.

Ma Mohammad non è islamico? – Nonostante la comunità straniera più numerosa a Bologna sia quella rumena, con più di 5mila residenti, seguita da quella filippina, più di 4mila, il nome più comune è di ovvia connotazione islamica. Il fatto è che, a ben vedere, la comunità musulmana può vantare molti stranieri provenienti dal Marocco, circa 3mila, e anche di più dal Bangladesh, quasi 3.500, oltre a una folta schiera di algerini, tunisini ed egiziani, che sommati danno un numero molto maggiore rispetto alle singole comunità nazionali. Se aggiungiamo il fatto che il nome Mohammad è praticamente onnipresente, se non come primo almeno come secondo nome insieme a Hussein, ecco spiegata la classifica dei nomi degli stranieri residenti a Bologna. Ma quanti sono i musulmani a Bologna? Secondo Radwan Altounji, presidente del “Centro di Cultura Islamica” di Bologna, sono circa 16mila, tra centro e prima periferia. La moschea An-Nur, che si trova accanto al Centro culturale, è frequentata per le cinque preghiere giornaliere solo dagli abitanti delle case vicine, neanche una quarantina. Però Altounji assicura che nei giorni festivi arrivano in moschea più di mille persone, e per le feste come Id Al-Fitr, che chiude il mese di digiuno del Ramadan, si arriva persino a 5mila presenze.

Tempi duri per l’Islam… – Sono tempi bui questi per i musulmani di Bologna o, più precisamente, per i musulmani d’Italia o forse per tutti gli stranieri che si trovano, loro malgrado, sul suolo italiano. Lo stesso Altounji ci racconta che negli ultimi mesi ha ricevuto al centro islamico lettere, fotocopie e cartelli molto offensivi da parte di cittadini italiani. Alcuni ce li mostra, altri no: “Non sono adatti alla visione di un pubblico femminile!”. Qualcuno ha spedito una cartolina di Mussolini e una lettera dove tra insulti vari si intimavano i musulmani a tornare al proprio paese. In un altro c’era la foto di un maiale con sotto scritto “Maometto”, il che somiglia molto alle provocazioni del ministro Calderoli.

Preghiera in Piazza Maggiore – Bisogna ricordare un paio di fatti. Il 3 gennaio si è svolta la manifestazione (poi replicata il 24 tra mille difficoltà) per i civili palestinesi uccisi a Gaza dalle truppe israeliane, indetta proprio dal Centro di Cultura Islamica. Una volta finita la marcia, il corteo, di circa 3mila persone, ha pregato in Piazza Maggiore senza però averne dato preavviso alla Questura. C’è da dire che i musulmani sono tenuti a pregare cinque volte al giorno e una di queste cadeva durante la manifestazione. Sulla scia delle polemiche innescate, la notte del 15 gennaio comparivano delle svastiche e scritte razziste sulle saracinesche di una macelleria islamica e di un bar gestito da un egiziano, entrambi nel quartiere Barca.

Dopo l’11 settembre – Secondo Radwan Altounji, arrivato in Italia dalla Siria nel 1966 per studiare e a Bologna dal 1974, c’è molta più discriminazione oggi che trenta anni fa: “Negli anni Settanta eravamo in pochi noi stranieri in Italia, forse anche per questo ci trattavano con molta gentilezza e generosità. Ma è stato soprattutto a causa di quel disgraziatissimo 11 settembre se le cose sono cambiate così tanto. Da quel giorno ogni musulmano è diventato un terrorista” ci spiega con rammarico, e aggiunge: “Le moschee non sono covi di terroristi. Ci possono essere dei terroristi che vanno in moschea ma non tutti quelli che vanno in moschea sono terroristi […] Mia moglie porta il velo, una volta, dovunque andavamo, ci mostravano sempre rispetto. Dopo l’11 settembre la nostra vita è cambiata moltissimo. Oggi la guardano come se fosse una ladra”.

Le responsabilità della stampa – Mahmud E. è un egiziano di 44 anni, dal 1988 è in Italia con la famiglia. Anche sua moglie Rasha ha un episodio da raccontare: “E’ successo qualche anno fa. Ero su un autobus, era estate e faceva caldo, così ho fatto per aprire il finestrino quando una signora anziana mi dice: “Se hai caldo perché non ti togli quella sciarpa %5Bil velo ndr%5D? Perché siete venuti qua?””. Un paio di anni fa, quando Mahmud E. aveva una pizzeria che faceva servizio a domicilio, un cliente aveva telefonato per ordinare due pizze: “Dopo dieci minuti richiama e mi chiede: “Ma siete stranieri o italiani?” “Stranieri”, rispondo io. “Allora niente” e riattacca”. Secondo Mahmud l’opinione pubblica è molto influenzata dalla classe politica, per cui fa una precisa critica all’attuale governo italiano, indicando la sua personale posizione politica: “Quando governa Berlusconi va male, perché poi anche sui giornali e in televisione si sentono dire solo cose contro i musulmani. Quando c’è la sinistra va meglio. Se la stampa non dice niente di male sui musulmani, tutto è tranquillo”. Ma, a parte la sua presa di posizione, il nostro interlocutore sottolinea un elemento interessante, cioè l’assenza di mezzi di comunicazione di massa legati al mondo islamico italiano: “Noi non abbiamo un canale attraverso il quale parlare!”.

La lunga strada per i documenti – Nonaym B. non si lamenta, è arrivato dal Bangladesh nel 1998 e da poco ha aperto un negozio di alimentari. Dice che tutti nel quartiere sono ben disposti nei suoi confronti: “Sono tutti bravissimi e mi salutano anche!” Poi, però, gli viene in mente un episodio del passato: “Giusto una volta una signora italiana è entrata nel negozio, e mi ha detto un po’ in malo modo: “Ma nel tuo Paese non c’era lavoro?” e poi è uscita”. Quando gli chiediamo se ha difficoltà con il permesso di soggiorno la sua tranquillità si incrina e ci dice che è da febbraio del 2007 che aspetta i documenti: “Quando sono arrivato dieci anni fa ci voleva solo un mese per avere il permesso di soggiorno; tra l’altro, in Questura non ti trattano tanto per il sottile”.

Tutta colpa dell’economia – Faruk H. vende kebab, anche lui viene dal Bangladesh ed è in Italia dal 1972. Sua moglie porta il velo e i suoi tre figli vanno a scuola. Mi racconta che quando suo figlio maschio frequentava la scuola del quartiere San Donato, non aveva un gran rapporto con gli insegnanti. Quando Faruk andava ai colloqui gli dicevano che il figlio non aveva un buon rendimento e che non andava d’accordo con i suoi compagni: “Mi dicevano che non era idoneo, allora l’ho spostato in una scuola in piazza dell’Unità e qui adesso va benissimo, gli insegnanti dicono che è bravo”. Anche secondo lui la situazione è peggiorata negli ultimi tempi, ma Faruk incolpa la crisi economica: “Questi ultimi tre o quattro mesi sono stati brutti, non ci sono molti clienti, non ho molto da lavorare e mi hanno alzato l’affitto. Ma non è colpa degli italiani, è colpa dell’economia”. E poi aggiunge, un po’ di sottecchi: “E’ normale, se ci sono i soldi ti trattano bene, se non ci sono tutto è più difficile”.

L’immagine: bambini alla manifestazione del 24 gennaio 2009 per le vittime di Gaza.

Eva Brugnettini

(LM BO n. 1, 16 marzo 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 39, marzo 2009)

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Tags: BangladeshberlusconibolognabrugnettinicalderoliCentro di Cultura IslamicagazaislamkebabMussolinimussulmaniPiazza MaggioreRadwan Altounji
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Comments 0

  1. Sergio says:
    11 anni ago

    Although insulting people is a bad thing to do and should never be done, the most important thing here is to recognize that Islam is dangerous, very dangerous. Here in London they have blown up a subway and beheaded a soldier in broad daylight. Who knows how many terrorist attempts are being frustrated by the police all the time. In Islamic countries Muslims kill and persecute Christians, including women and children. So, the only good Muslim is the one who is in the middle of some desert, where he can’t hurt anyone.

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