Il 14 ottobre di 130 anni fa nasceva la grande scrittrice neozelandese. Chi è e che cosa ha scritto non è forse noto al grande pubblico. Di certo, però, è stata un’artista di rara sensibilità
Katherine Mansfield non è stata solo una grande scrittrice, ma anche una donna straordinaria. Dalla Nuova Zelanda, dove nasce 130 anni fa, il 14 ottobre 1888 (all’anagrafe Kathleen Mansfield Beauchamp), parte per viaggiare di terra in terra. Si lega sentimentalmente a uomini e donne, persino dopo il 1918, anno in cui sposa l’editore e critico John Middleton Murry. Lo ha conosciuto a Londra, dove la Mansfield diviene parte della cerchia di intellettuali inglesi (i coniugi Leonard e Virginia Woolf, Bertrand Russell, David Herbert Lawrence) che, agli inizi del Novecento, si trovano a sperimentare nuove tecniche letterarie.
Ciò che pensa riguardo all’arte della scrittura lo esprime in una lettera del 1917, indirizzata all’amica pittrice Dorothy Brett: «Io sono assolutamente certa che non vi è separazione fra l’arte e la vita. […] Quando scrivo di anitre, giuro che sono un’anitra […] non vedo come l’arte possa fare quel divino balzo nei limitati contorni delle cose se non è passata attraverso il processo di divenire queste cose prima di ricrearle». Il tentativo di liberarsi dal senso di finitezza, di immedesimarsi e di sentire tutto nel profondo sono delle costanti nella quotidianità della scrittrice. Purtroppo, però, la vita le impone numerosi limiti. Infatti, la tisi la relega nei letti di diverse pensioni e stanze d’albergo. La Mansfield comprende a questo punto che a essere infiniti nell’esistenza umana sono soprattutto il dolore e la sofferenza.
L’autrice tenta comunque di ricavare da tutte le esperienze l’ispirazione per le fantasticherie private e per le short stories pubbliche. Racconti che, come sottolinea Pietro Citati in Vita breve di Katherine Mansfield, non hanno netti confini. La narrazione potrebbe cominciare e finire in un qualsiasi altro punto. Pare che, percorrendo la linea del tempo, la Mansfield ne possa isolare un’unità e riesca a lasciarla fluttuare sospesa. Questo perché spesso l’inizio delle novelle poggia su particolari minimi e casuali. Allo stesso modo, il resto del testo prosegue senza fornire dati esaustivi sul luogo e precisare l’aspetto o il carattere dei personaggi. Al lettore viene consentita solo una sbirciatina fugace, da dietro una tenda, ma senza alcuna spiegazione. Tutto è sospeso nel tempo e nello spazio, quasi fosse un sogno.
Questa tecnica ben congeniata dipende soprattutto dalla natura del racconto, che possiede una struttura e un’articolazione dei contenuti diverse dal romanzo. Infatti, la Mansfield si dedica alla scrittura di sole storie brevi, riunite poi in raccolte: Una pensione tedesca (1911), Felicità e altri racconti (1920), Garden party e altri racconti (1922). La morte avviene il 9 gennaio 1923 a Fontainebleau, presso l’Istituto per lo sviluppo armonico dell’uomo di Georges Gurdjieff. In seguito, il marito pubblica postume le raccolte Il nido delle colombe e altri racconti (1923), Qualcosa di infantile e altri racconti (1924). L’insieme delle storie tradotte in italiano, col titolo Tutti i racconti di Katherine Mansfield, è edito da Adelphi e Newton Compton. Per parlare di questa scrittrice ci è sembrato calzante utilizzare parte del titolo di un suo racconto, che a sua volta dà il nome all’ultima raccolta, Something Childish but very Natural. Studiandola, ci è sembrato che la sua indole trovi corrispondenza diretta con tale espressione.
“Infantile” non significa mancare di profondità o d’intelligenza. Si intende, invece, lo sguardo fanciullesco di cui parla Giovanni Pascoli: la capacità che possiedono i bambini di meravigliarsi dinanzi alle piccole cose. La Mansfield può infatti stupirsi e gioire delle più semplici abitudini, ma allo stesso tempo cambiare umore in maniera repentina per altrettante piccolezze. Un sensibile filo d’erba esposto ai cambiamenti esterni e obbligato a fronteggiarli dalla sua radicata posizione. Questa è la Mansfield. Una donna che cerca di affrontare con intensa vitalità i limiti imposti dalla malattia. Un’artista dalla sensibilità straordinaria che racchiude il suo modo di vivere nel seguente passaggio di una lettera del 9 gennaio 1918: «Sento che l’indifferenza è realmente estranea alla mia natura».
Arianna Mazzanti
(LucidaMente, anno XIII, n. 154, ottobre 2018)