Il saggio Federalismo culturale di Denis de Rougemont riproposto dalle Edizioni Pagine d’Arte
In tempi in cui una parte dei cittadini e qualche partito politico mettono in discussione la permanenza del nostro Paese nell’Unione europea e parlano di federalismo, spesso svuotandolo di significato, si può trovare una lucida analisi sulla cultura e sulle istanze federalistiche in una conferenza tenutasi nel 1963 all’Università di Neuchâtel in Svizzera, in occasione del venticinquesimo anniversario della fondazione dell’Institut neuchâtelois. Tra gli interventi del convegno si segnalò quello di Denis de Rougemont, scrittore e pensatore svizzero (1906-1985). Il testo del discorso è stato recentemente ristampato col titolo Federalismo culturale(Edizioni Pagine d’Arte, pp. 48, € 12,00), nel caratteristico formato oblungo che caratterizza la collana Sintomi.
Partendo dalla Svizzera e dal suo modello cantonale, l’autore afferma che «la formula federale offrirebbe ai nostri paesi, nell’Europa unita, il duplice vantaggio di aderire a un grande insieme mantenendo i benefici sociali e culturali propri di un piccolo Stato». Egli riflette sull’importanza della circolazione delle idee, sulle quali si fonda la cultura e sulla promozione della diversità, che tiene viva la cultura stessa. Per tutelare e diffondere quest’ultima, sono fondamentali i centri locali di produzione e la loro valorizzazione. Da questo pensiero deriva la sua definizione di cultura:«ogni cultura è promozione di diversità, di valori differenziati, ogni cultura è lotta costante contro quella che i fisici hanno chiamato legge dell’entropia, legge del livellamento crescente delle differenze di potenziale, del crescente e irreversibile degrado delle energie superiori in semplice calore, che è la formula più bassa di energia e che trascina così l’intero cosmo verso “la morte tiepida”, verso lo stato di totale indifferenza, che preannuncia la fine».
L’Ue non deve correre il rischio di appiattire le particolarità locali, né di ridurre la cultura a mero folclore, bensì deve valorizzarle e contrastare l’appiattimento culturale, e le emozioni telecomandate, insite nelle nuove tecnologie, dalle quali occorre tutelarsi. Secondo il filosofo svizzero, l’uomo non deve subire la cultura, ma rielaborarla, considerandola un punto di partenza per conoscere se stessi, o meglio per diventare se stessi. Infatti egli considera «fine ultimo della cultura […] quello di dare un senso alla vita». Condizione essenziale per realizzare una vera cultura è la presenza di maestri che sappiano insegnare, il cui paese d’origine sia in grado di valorizzare e fare restare nel proprio territorio, e un ambiente favorevole, aperto alle novità e alle sperimentazioni degli artisti. Forse al termine del saggio al lettore verrà da domandarsi che cosa penserebbe l’autore dell’Italia di oggi, di fronte ai tagli alla cultura e alla scuola, alla fuga dei giovani e dei cervelli all’estero…
L’immagine: la copertina del libro di de Rougemont.
Francesca Gavio
(LucidaMente, anno VI, n. 67, luglio 2011)
Sull’argomento sarà pubblicato sul prossimo numero di “Novum Imperium” un articolo di Roberto Sestito intitolato “Universalità romana e universalismo moderno”.