L’idea di un reportage per inseguire il sogno di scoprire un angolo di mondo ancora vergine, sfuggito alla monocultura della civiltà di massa: esotico viaggio alle Canarie, a ovest di Tenerife, in una montuosa isoletta con un “cappello” di nubi sulla cima, là dove si estende la selva del Garajonay
La memoria di una lettura amata come Tristi tropici, l’opera che nel 1955 ha contribuito alla fama di Claude Lévi-Strauss, ci offre la spinta decisiva per una scelta non più eludibile: partire! Un impulso risvegliato, in modo particolare, da una riflessione dell’autore: «Vorrei esser vissuto al tempo dei veri viaggi, quando offrivano in tutto il suo splendore, uno spettacolo non ancora infangato, contaminato e maledetto…».
Per questioni di budget optiamo per un volo della Ryanair con destinazione Tenerife Sud, a poca distanza dal porto di Los Cristianos, dove, di buon mattino, prendiamo il battello diretto a San Sebastián, capoluogo della nostra isola. Tra auto e biciclette al seguito dei turisti, presto ci assale una lieve ma persistente ansia, per la sensazione che la folla con la quale condividiamo il viaggio ci possa sottrarre il sogno in cui siamo immersi: fare un viaggio in luoghi inesplorati e trarne l’ispirazione per un reportage. Valerio Agolino, professionista esperto di fotogiornalismo, ci ha assicurato che è importante adottare un approccio insolito, trovare cioè un’idea nuova e mai pensata da altri che garantisca una buona visibilità. Ci guardiamo intorno e, al momento, vediamo una schiera di delfini che nuotano sulla scia della nave e che, tra allegri spruzzi d’acqua, emettono sibili sonori, quasi in un botta e risposta che solleva dubbi e perplessità sull’oggetto della loro, si fa per dire, conversazione.
Al momento dello sbarco al porto di San Sebastián, siamo sollevati al pensiero della distanza già posta tra noi e la “civiltà” ed entusiasti all’idea di inoltrarci nelle umide e ombrose vegetazioni del Parque Nacional de Garajonay, quando un rumore insolito, simile al verso di un uccello, attira la nostra attenzione: una ragazza, con le mani a imbuto sulla bocca, di nuovo emette un potente fischio verso l’alto, come un richiamo al quale un altro suono analogo fa subito eco. La nostra curiosità viene soddisfatta in albergo dove, alla réception, ci spiegano che la scena è organizzata a scopo turistico, per far conoscere un antico linguaggio tipico dell’isola, il “silbo”, che dal 2000 è inserito nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco.
Un tempo era il lessico dei pastori, indispensabile per comunicare tra vallate strette e montuosità che, quasi a perpendicolo, scendono dalla cima a picco sul mare; ecco, quindi, che il fischio gomero veniva loro in ausilio per ovviare all’impervietà della natura. La notizia ci appassiona molto e, prima di coricarci, tentiamo una scherzosa imitazione di linguaggio fischiato, ma la nostra versione non è raccolta da altri umani. Andiamo a dormire un po’ delusi e con un’impressione di irrimediabile estraneità alla cultura di quei luoghi. Nel cuore della notte, poi, una litania modulata, ora stridula, ora suadente, ci sveglia e andiamo alla finestra; ma solo coppie di occhi fosforescenti si volgono verso di noi, che siamo ormai in preda ad un sospetto: a La Gomera anche i gatti, come i delfini, comunicano tramite il “silbo”, ovviamente adattato alla loro natura!
Il giorno dopo, durante la salita al Parco del Garajonay, siamo preoccupati per quello che ci attende nel dominio silenzioso di una natura superba non avvezza al potere dell’uomo, che al suo cospetto si sente piccolo e inutile. Arriviamo in cima e ci addentriamo nei sentieri di intricate e odorose laurisilve – della quale c’è qui l’ultima selva ancestrale – percorse da flussi e riflussi di foschie, un fenomeno denominato “pioggia orizzontale”, dovuto allo scontro tra freddi alisei dell’Atlantico e tiepide brezze.
Man mano che il pomeriggio volge a sera, aumenta il frusciare del vento e solo se chiudiamo gli occhi prendono corpo i nostri timori di aborigeni che si spostano sulle liane esortandosi l’un l’altro con il sibilo gomero! Senza quasi rendercene conto, siamo dentro quell’atmosfera arcaica che cercavamo, poiché l’uomo non è ancora intervenuto a conquistare e assoggettare ai propri fini questi territori all’interno dei quali prevale una preziosa ed emozionante naïveté che, con cautela, ci accingiamo a documentare e svelare; ma non subito, perché siamo appena all’inizio di un percorso di rinnovata unione con la natura e con la nostra interiore innocenza originaria.
Le immagini (foto dell’autrice dell’articolo): ingresso al porto di San Sebastián; uomo all’atto del “silbo”, nel dipinto esposto alla casa-museo di Cristoforo Colombo; laurisilva nella selva del Garajonay.
Silvana Tabarroni
(LucidaMente, anno IX, n. 104, agosto 2014)
Bellissime le immagini che ha trasmesso l’autrice di questo articolo. La voglia di prendere l’aereo e andare è veramente irrefrenabile.
grazie
Loredana
Grazie a te, Loredana! Solo ora, trascorsi due anni dalla bellissima esperienza che mi accingo a (ri)condividere su Fb, mi accorgo del tuo apprezzamento… la magia di quei posti è ancora viva in me e sono felice di avertela trasmessa! Silvana