Grazie all’evento “Il mito del paese di Cuccagna”, le stampe della raccolta Bertarelli raccontano una sorta di fiaba della cultura europea medievale e moderna. Come riscoprire un’utopia oggi dimenticata
«In una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta; ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d’acqua».
È questa la più antica descrizione del paese di Cuccagna, rintracciabile nella terza novella dell’ottava giornata del Decameron di Giovanni Boccaccio, nota come Calandrino e l’elitropia. Da allora, il leggendario mondo di Bengodi ha incontrato un successo sempre maggiore nella società europea. La mostra Il mito del paese di Cuccagna. Immagini a stampa dalla Raccolta Bertarelli (sala viscontea del castello Sforzesco di Milano, fino all’11 ottobre 2015), curata da Giovanna Mori e Andrea Perin, in collaborazione con Alberto Milano e Claudio Salsi, propone un percorso di analisi e riscoperta di tale leggenda attraverso stampe d’epoca e riferimenti alle fonti letterarie. Le oltre centocinquanta opere in esposizione, databili dal XVI al XX secolo, comprendono anche grafiche d’arte di autori quali Albrecht Dürer, Heinrich Aldegrever e Virgil Solis, permettendo di individuare le origini del mito, le sue componenti principali e il suo sviluppo attraverso i tempi.
L’allestimento è diviso in nove sezioni dedicate alle principali caratteristiche del tema. Tra queste, l’abbondanza, l’ozio e la libertà: elementi che concorrono a creare un mondo alla rovescia, dove le strutture gerarchiche della società sono stravolte, il lavoro non è necessario per guadagnarsi da vivere e il cibo è prelibato e sempre disponibile. Non è difficile immaginare come la narrazione di una simile realtà straordinaria, che affonda le proprie radici nell’età dell’oro di epoca classica e nel paradiso terrestre cristiano, costituisse per i ceti sociali più bassi una forma di evasione dalle difficoltà quotidiane.
Nel paese di Cuccagna, situato in un luogo onirico e inaccessibile, il popolo proiettava i propri sogni, legittimando vizi e desideri di uguaglianza. Attraverso la burla e il riso, si proponeva un mondo alternativo, nel quale l’ordine sociale e gli obblighi morali erano sovvertiti. Parte dell’attrattiva del paese di Cuccagna era dovuta alla sua somiglianza al carnevale. Tale periodo di festa era molto sentito dai ceti subalterni durante il Medioevo, poiché permetteva una sospensione rituale delle distinzioni sociali, un tempo di libertà dalle fatiche quotidiane in un’atmosfera di goliardico disordine. Inoltre, durante il carnevale venivano spesso distribuiti cibi gratuiti al popolo, proprio come accadeva nel paese di Cuccagna. Mentre il valore eversivo e politico del mito svanisce sul finire del Medioevo, la caratteristica dell’abbondanza alimentare rimane costante e fondamentale. Nelle stampe in mostra si trovano tavole imbandite con i prodotti consumati dal ceto dominante (carne, frutta, vino, dolci e spezie), nel clima gioioso tipico delle feste popolari. Una fusione di classi sociali e abitudini gastronomiche che può realizzarsi solo nel paese di Cuccagna.
Un’altra caratteristica basilare di questo luogo fantastico è, secondo una visione maschilista del concetto di “libertà”, la totale assenza di donne. A tal proposito, particolarmente significativa è la stampa La vera descritione del paese chiamato anticamente scanza fatica et hora sie nominato chucagna delle donne, che rappresenta la versione femminile del paese di Cuccagna, dove gli uomini compaiono solo come servitori e gran parte del tempo viene dedicato alla cura del corpo e all’intrattenimento.
A dimostrazione della penetrazione del mito nell’immaginario collettivo, ma anche della quasi totale perdita del suo valore rivoluzionario e sociale durante i secoli, vi è l’approdo nei racconti per bambini. Primo fra tutti per notorietà, il paese dei Balocchi di Pinocchio, all’interno del quale l’utopia medievale del paese di Cuccagna viene ridotta a un sogno infantile. La concezione calvinista-borghese del mondo, che non vede di buon occhio ciò che non viene guadagnato con il proprio lavoro, contribuisce a ridurre la forza e la positività di questo mito. Nel racconto di Carlo Collodi, infatti, Pinocchio trascorre cinque mesi «in mezzo ai continui spassi e agli svariati divertimenti» e, a causa del suo ozio, viene trasformato in un ciuchino. Passando in rassegna diversi secoli e fonti, la mostra consente quindi al visitatore di immergersi in un miraggio quasi dimenticato dalla società contemporanea, attraverso l’analisi dei suoi tratti caratteristici e delle sue origini storiche e sociali.
La mostra Il mito del paese di Cuccagna. Immagini a stampa dalla Raccolta Bertarelli (Milano, Castello Sforzesco, sala viscontea) è aperta dal martedì alla domenica dalle ore 9,00 alle ore 19,30; il giovedì dalle ore 9,00 alle ore 22,30. Per maggiori informazioni si possono consultare i siti www.milanocastello.it e www.comune.milano.it/museiemostre.
Le immagini: Gargantua à son grand couvert (1810 circa, acquaforte colorata, 272×335 mm, Milano, collezione privata); Discritione del paese di chucagna dove chi manco lavora piu guadagna (1750 circa, bulino colorato a pennello, 410×558 mm, Bassano del Grappa, per Remondini); L’arbre d’amour (1875 circa, xilografia colorata, 396×585 mm, Épinal, Jean-Charles Pellerin).
Vittoria Colla
(LucidaMente, anno X, n. 116, agosto 2015)