Il prossimo 27 maggio esce in libreria “Afrodite bacia tutti” (Prospero editore) di Stefania Signorelli: una rivisitazione attualizzata degli antichi dei ellenici
Un divertissement non privo di antica saggezza. Così possiamo riassumere in estrema sintesi l’operazione narrativa della quarantenne Stefania Signorelli intitolata Afrodite bacia tutti (Prospero editore Novate Milanese, pp. 184, € 9,90), in uscita il 27 maggio 2017. Una raccolta di racconti che vedono come protagoniste le antiche divinità greche trasferite ai giorni odierni. Ne scaturisce uno scoppiettio colto quanto godibile, nel quale hanno parte primaria lo stile chiaro e il tono ironico.Come assaggio per il lettore e per gentile concessione dell’editore, riportiamo di seguito il testo che apre e dà il titolo alla raccolta.
Veniva a trovarci sempre d’estate. In braccio a suo padre, coi codini biondi sbilenchi e il ciuccio in mano. “La bambina più bella che abbia mai visto” dicevano un po’ tutti. Suo padre sorrideva con la faccia di uno cui dicono che l’acqua è bagnata, però si vedeva che aveva piacere. Lei ascoltava i grandi incantata, aveva un temperamento placido e si concedeva docilmente a sguardi e abbracci. Sembrava una caramella, una torta al cioccolato, un gelato al pistacchio con la granella alle nocciole e una fragola sopra. La bambola più perfetta mai vista. Che invece era vera. Non si poteva fare altro che contemplarla come una piccola divinità, col delicato sorriso pagano, pieno di simmetria, che le illuminava il visino.

Io non lo ricordo proprio, ma mi hanno raccontato che la prima volta che mi vide pianse. Si morse un braccio. Credo che la mia bruttezza la offese. Forse da lì e poco a poco, anche Afrodite capì che la natura non è sempre una madre amorevole e generosa (siepi di caprifoglio e fiumi di latte e miele, com’era stata con lei); anzi: a volte si diverte con spirito malevolo di strega elettrica a coltivare malattie, morte e ortiche.
Nel corso di quelle estati diventammo inseparabili, Afrodite ed io. Non facevamo niente di che, ma lo facevamo insieme. Avevamo cinque anni. Poi otto. Lei raccoglieva le conchiglie in riva al mare e mi portava l’acqua nel secchiello per aiutarmi a creare dei vulcani con la sabbia. Io usavo dei giornali per appiccare il fuoco. Dal vulcano di sabbia usciva fumo e lei mi guardava ammirata o forse guardava ammirata il vulcano. Ma il vulcano l’avevo fatto io, quindi guardava ammirata me. Le piacevano le cose che facevo. Era la mia piccola dea, ai cui piedi deporre tutte le stramberie che inventavo: una collana di conchiglie, una clessidra fatta con sabbia e bottiglie di plastica, dei biscotti che rubavo alla nonna (mi si può obiettare come i biscotti rubati non siano un’invenzione, ma le bugie per giustificarne la sparizione lo erano… e ben fantasiose e architettate; anche se la nonna le smontava, un mattone alla volta). Un brutto giorno chiese: – Efesto, ma tu perché sei brutto?– Non lo so – le risposi. Non lo sapevo. Nemmeno oggi.

L’anno successivo si portò un ragazzo alto con la faccia da zuccone. Un vero imbecille che se la baciava in veranda. Sul balcone. In spiaggia. In cucina. In giardino. In salotto. Nel corridoio. In camera, vicino alla mia. Siano più di ogni cosa maledette le pareti sottili.
Col tempo apparve chiaro come ad Afrodite piacevano più di tutto i ragazzi e ai ragazzi piaceva più di tutto lei. Studiavo ingegneria e non ero felice. Anzi, per dirla tutta, ero il più infelice di quelli che studiavano ingegneria. Forse ero solo l’amico disabile col quale ostentare una frequentazione in pubblico a testimonianza del proprio buon cuore. Un giorno eravamo in un orto o in un giardino e lei sembrava una rosa inzuppata nella panna. Non seppi resistere a tanto splendore e cercai di baciarla, ma si scostò con una violenza che non le conoscevo. Disgustata e offesa. Non potevo darle torto. Un tentativo sacrilego e patetico di amarla. Sparii. I suoi genitori chiedevano ai miei genitori di me. La odiavo. Immensamente. Ferocemente.Passava di letto in letto, sempre innamorata o credendo di esserlo. Saltellando come una gattina nella sua innocente giovinezza. Leggera come una farfalla. Di più che una farfalla. Una ragnatela.

Un giorno le consegnai un biglietto e scappai svelto col mio amico Pan. C’era scritto “Sei così bella che ti darei tutto, tranne me che sono brutto”. Sorrise e mi sposò. Un errore per entrambi dal quale non uscimmo mai. Un errore bellissimo, probabilmente uno di quei guai previsti dalla nonna; ma una sciagura felice, perché fu come toccare l’Olimpo. Non mi rassegno a lasciarla andare. Non si può lasciare andare Afrodite.
Lei è troppo buona per dirmi che il nostro matrimonio è una farsa. Teme di spezzarmi il cuore. A me, che dei suoi innamorati so tutto. Tanto è buffa e bella mentre inventa storie senza capo né coda per negare l’evidenza. Se solo non fosse così sciocca da permettere ai suoi estasiati amanti di riprenderla mentre si spoglia io non sarei qui, con le lacrime agli occhi, a togliere i suoi filmati da youporn.Ma proprio con quell’imbecille di Ares? Afrodite mia…
(Stefania Signorelli, Afrodite bacia tutti, Prospero editore Novate Milanese, 2017, pp. 4-9)
Le immagini: la copertina di Afrodite bacia tutti e la sua autrice.
sara spimpolo
(LucidaMente, anno XII, n. 137, maggio 2017)