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Home ATTACCO FRONTALE

Carceri: solo la morte può liberarti dalla sofferenza

Carmelo Musumeci by Carmelo Musumeci
1 Luglio 2011
in ATTACCO FRONTALE, DAI LETTORI, TEMATICHE CIVILI
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La drammatica testimonianza di un detenuto: i suicidi nelle invivibili prigioni italiane… e a pochi importa

Dal carcere di Spoleto ci è pervenuta la seguente lettera. In genere non pubblichiamo testi non firmati dai nostri stessi redattori o collaboratori, ma, nel caso di Carmelo Musumeci, ergastolano ostativo, cioè senza possibilità di usufruire di alcun beneficio di legge, ci siamo sentiti in obbligo di fare un’eccezione, soprattutto per la straziante, toccante bellezza del suo testo, della sua denuncia civile…

«Non temo le cattiverie dei malvagi, temo piuttosto il silenzio dei giusti» (Martin Luther King)

Dalla rassegna stampa di Ristretti Orizzonti: Bari, 27 giugno: D.S., persona detenuta di 28 anni, si è impiccato nel pomeriggio all’interno del bagno della sua cella; Teramo, 30 giugno: detenuto di 31 anni si impicca in cella; è il trentesimo suicidio del 2011 nelle carceri italiane.

Uccidersi non è facile, ma vivere nelle patrie galere italiane è ancora più difficile. Per questo nelle carceri italiani si continua a morire. E nessuno fa nulla. Nelle carceri italiani c’è una vera e propria guerra fra la vita e la morte, ma i mass media preferiscono occuparsi delle guerre degli altri paesi.  Ai nostri governanti i suicidi in carcere fanno paura, per questo cercano di nasconderli. L’“Assassino dei Sogni” (come chiamo io il carcere) non vuole che fuori si sappia che i suoi prigionieri hanno più paura di vivere che di morire. Più nessuno parla e scrive del perché in carcere sono così in tanti a togliersi la vita. L’Italia spreca lacrime di coccodrillo per la pena di morte negli altri paesi, invece i suoi prigionieri li mura vivi senza la compassione di ammazzarli prima, perché vuole che i detenuti abbiano il coraggio di ammazzarsi da soli.

I nostri governanti dovrebbero sapere che per rimanere in vita bisogna amare la vita, ma come si può amarla chiusi in una cella di cemento e ferro, giorno dopo giorno, notte dopo notte, un anno appresso all’altro a vegetare? I nostri politici dovrebbero sapere che in carcere in Italia si muore in tanti modi: di malattia, di solitudine, di sofferenza, di malinconia, di ottusa burocrazia e d’illegale legalità.  E poi si muore perché per alcuni detenuti vivere nelle galere italiane è diventato un lusso che molti non si possono più permettere. Per questo ammazzarsi diventa una vera e propria necessità. E questa non è una libera scelta, come alcuni cinici di turno potrebbero pensare, ma è una legittima difesa contro la sofferenza e l’emarginazione. La verità è che ormai in carcere in Italia t’impediscono di vivere, per questo alcuni detenuti decidono di non vivere più. Come dargli torto?

Io spero sempre che in carcere nessuno si tolga la vita, ma non mi sento di condannare chi non ha il coraggio di vivere come un animale in gabbia.  Ricordo che chi in carcere si ammazza non desidera proprio farlo, piuttosto vuole solo protestare per attirare l’attenzione su di sé. E che ci si uccide soprattutto per le restrizioni sociali e affettive. Proporzionalmente al “fuori”, in carcere si muore di più non solo perché ci si toglie la vita da soli, si muore più spesso semplicemente perché si è dimenticati dalla società, o non si viene curati bene.

La figlia di un uomo ombra, di un ergastolano che è morto qualche giorno fa, ha scritto a un nostro compagno: «Mio padre è mancato con l’unica consolazione di morire accanto ai suoi figli. Nei pochissimi giorni trascorsi insieme mio padre raccontava sempre di voi tutti. Gli ho promesso che vi avrei scritto per avvisarvi, eravate per lui la seconda famiglia. Lui era molto malato, solo nel carcere di Parma dopo un’infinità di istanze hanno scoperto che era affetto dì carcinoma polmonare in metastasi con la complicazione di diverse infezioni, una di quelle era l’enfisema polmonare, non ha fatto una lunga agonia è crollato di colpo, in due giorni se ne andato per sempre». Quando qualcuno muore di carcere, in carcere o fuori, il caso non esiste. L’Assassino dei Sogni è una fabbrica di morti.

Intanto fuori i “buoni” continuano a fare i “buoni” lasciando che le carceri italiane si trasformino in lager. Buona morte ai “cattivi” che decidono di togliersi la vita perché dimenticati dalla società. E buona vita ai “buoni” e agli ignavi che non fanno nulla per evitarlo.

Per avere un quadro completo del dramma-carcere, con tabelle e considerazioni varie, si legga Pianeta Carcere: un sistema vicino al collasso totale di Antonio Antonuccio, apparso in due parti nei numeri 33 e 34 (aprile e maggio 2012) di Excursus: http://win.excursus.org/attualità/AntonuccioPianetaCarcerePartePrima.htm

e http://win.excursus.org/attualità/AntonuccioPianetaCarcereParteSeconda.htm.

L’immagine: tavola VII (Il ponte levatoio) de Le carceri d’invenzione (1745-1750, incisioni) di Giambattista Piranesi (Mogliano Veneto, 1720 – Roma, 1778).

Carmelo Musumeci (Carcere di Spoleto, 30 giugno 2011)

(LucidaMente, anno VI, n. 67, luglio 2011)

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Tags: antigonecarceratocarcere di spoletocarcericarceri italianicarmelo musumecidisagio carcereergastolanoergastolofocusmartin luther kingmortemusumecipiranesiprigionieriprimo pianoristretti orizzontisovraffollamentosovraffollamento carcerisovraffollamento delle carcerisuicidi in carcere
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  1. Pingback: Carceri: solo la morte può liberarti dalla sofferenza | agora-vox.co.cc
  2. gian maria says:
    14 anni ago

    A mio parere, escludendo i familiari dei detenuti,per la stragrande maggioranza della popolazione i carcerati non esistono. Sono lì e lì devono retare.
    Il più delle volte sono nomi senza volto, se si escludono nomi eccellenti che fanno scalpore per essere comparsi sui media. Nomi, questi, che fanno scalpore a giovamento dei governanti, per mostrare la loro bravura ed efficenza nella repressione al crimine. Per i restanti anonimi abitatori delle patrie galere, quello sbandierato efficentismo non corrisponde a tutta la verità che è racchiusa nelle carceri.
    Se ci si rifiuta di avvicinarsi alla realtà dei luoghi di pena, non si può percepire cosa voglia dire perdere ogni diritto, sentire sulla pelle la solitudine, lo svilimento e la disistima con ripercussioni sull’equilibrio psicofisico ricorrendo al medico per avere un supporto di psicofarmaci. Basterebbe il coinvolgimento delle forze buone della società, (il cosidetto volontariato)con il favore delle autorità carcerarie a costruire una rete che permetta a questi soggetti di aprire i loro orizzonti. Si, perché la maggior parte di questi soggetti proviene da un mondo di marginalità, dove vivere equivale a sopravvivere, e molti di costoro hanno un basso livello culturele ed economico.
    Ci sono certo i veri criminali, ma in genere sono i più agguerriti e a mio modesto parere sono quelli che risentono meno delle ristrettezze.

    Rispondi
  3. Pingback: Intervista a Carmelo Musumeci, ergastolano scrittore | agora-vox.tk
  4. lucia benini says:
    14 anni ago

    Leggere questi resoconti è davvero difficile, perchè ovviamente sono tutte verità. Nell’ultimo intervento si fa appello al volontariato. Ma in quale modo consigliate le una persone di aiutare ? Con la corrispondenza ? E’ possibile fare delle visite ? A chi ci si deve rivolgere, nel caso di Firenze per esempio ? Essendo persone in età avanzata, ma desiderose di portare un minimo di aiuto in questo mondo disperato saremmo felici di contribuire anche se in minima parte.

    Rispondi
  5. Pingback: Quegli altri uomini dentro le prigioni

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