La storia di un “quasi-uomo”, disturbante nell’aspetto e nelle azioni, è al centro del romanzo breve “Il politico” di Pee Gee Daniel (edizioni Golena), in cui nulla viene lasciato all’immaginazione
Poche settimane fa è uscito nelle librerie il romanzo breve di uno scrittore piemontese (di Alessandria, per la precisione), che si firma con lo pseudonimo Pee Gee Daniel. Protagonista dell’originale opera (Il politico, edizioni Golena, pp. 118, € 9,00) è una forma umana non pienamente sviluppata, e ciò che la connota, oltre al sadismo innato, è l’abisso spaventoso di emozioni e pensieri cui non avremo mai accesso.
Già il titolo basta per invitare alla lettura: Il politico evoca un ambiente tanto noto, quanto equivoco. Ma ad attenderci non sarà un thriller o un racconto-reportage sulla casta. Subito veniamo introdotti nel mondo di un «lui» senza nome e nemmeno una precisa descrizione fisica (sappiamo solo che ha una corporatura massiccia ma flaccida, ributtante), né ci viene fornito qualche indizio sulla sua provenienza o sul tempo di svolgimento della vicenda. Eppure ci viene naturale riportarla ai nostri giorni: uno spostato, abulico e amorfo, proprio grazie a queste caratteristiche, viene cooptato da un sedicente movimento politico, estremista e senza scrupoli. In questo marciume fa carriera e può compiere violenze, rapine, stupri in libertà. Il ragazzo che torturava e guardava morire piccoli animali diventa un individuo capace di questi soli gesti: compiere il male, soprattutto nei confronti dei più deboli (donne, stranieri, anziani), e restare a vederne gli effetti.
Siamo di fronte a un simulacro di uomo, che conosce solo gli istinti e il loro sfogo immediato. Ancora più insulso il contesto in cui si muove: la connivenza degli adulti e il bullismo a scuola ne fanno un pupazzo perfettamente funzionante, insensibile e vuoto: «A tutti quanti questi soprusi, e altri ancora, lui non rispondeva. Mai. Subiva e basta. Non per rassegnazione, né tanto meno per paura… Non che fosse una persona pacifica. Più che altro, non era niente». Finora, il nulla non costituisce un incidente di percorso, ma l’unica esperienza della sua vita. È a questo punto che nel romanzo si innesta la componente “politica”. La violenza e l’idiozia del protagonista lo rendono un membro ideale del gruppo di facinorosi cui viene iniziato: l’Ideologo fumoso e ipocrita, il “capo-macho” Sarajevo, la femmina Mula in cerca del “maschio alfa”.
Ognuno incarna uno stereotipo e ruota attorno a una precisa dialettica: Lupo Mannaro, così ribattezzato, continua a essere legato alla sfera del vedere/guardare, mentre il Movimento a quella dell’urlo e del fracasso: «Gli intervenuti lo sentivano parlare, senza davvero ascoltarlo. Erano sintonizzati su di lui. Ne percepivano i toni, i semitoni e le pause, i rincari di voce, gli strepiti. Sarajevo aizzava il loro lato neurovegetativo, molto prima di fare i conti con i loro raziocini. Ne dominava gli istinti». I temi della creazione del consenso, del servilismo strisciante dei galoppini, del cinismo elettorale, pronto a lasciare ad altri il lavoro sporco, sono molto sviluppati e amaramente veri. Stupisce, tuttavia, il cambio di tono della narrazione, non sempre freddamente oggettiva. Con il morboso si mescolano, infatti, i registri della denuncia e dell’ironia tragica, che dovrebbero stimolare la riflessione su una società che crea e usa il mostro. Il rimando all’oggi è molto più che uno spunto, ma la realtà xenofoba, corrotta e depravata, diventa un consueto scenario di genere. L’autore si fa onnisciente e subentra un “noi” che allontana il lettore dalla storia, liberandolo dalla fatica di immedesimarsi in una vicenda tanto scomoda.
Emmanuel Carrère, nel romanzo L’avversario (Adelphi, pp. 172, € 17,00) – un libro certamente diverso, ma allo stesso modo difficile: la storia vera di un bugiardo cronico che per paura di essere scoperto uccide genitori, moglie e figli – riconosce che l’impegno maggiore, in racconti che hanno a che fare con l’orrore della società e il vuoto dell’anima, è «capire, infine, che cosa, in un’esperienza umana tanto estrema, mi abbia così profondamente turbato – e turbi, credo, ciascuno di noi». Nel caso di Daniel, a libro chiuso, oltre al ritmo incalzante e alla vividezza delle scene, rimane l’impressione che lo spietato realismo iniziale abbia ceduto il posto a un’imitazione distaccata del reale, e che per un attimo, nella volontà di dire tutto e ricollegare ogni cosa al presente, il velo di Maya dello scrittore si sia squarciato, svelandone gli ingranaggi.
Le immagini: la copertina del libro Il politico; un uomo e la sua ombra.
Antonella Colella
(LucidaMente, anno VIII, n. 94, ottobre 2013)