Ennesimo cambiamento. Perché? L’accettazione di una sconfitta epocale? Alcuni suggerimenti. Aspetti grafici del testo e capoversi, questi sconosciuti…
L’articolo che segue è stato pubblicato il lo scorso 7 aprile presso il blog di docenti Workshop Didattica col titolo L’avanzare dell’ombra. Qualche riflessione sulla nuova prima prova scritta dell’esame di stato. E una “modesta proposta”. Lo riproponiamo per LucidaMente con qualche modifica.
Tra pochi giorni i nostri studenti del quinto anno delle Scuole superiori ammessi all’esame di stato finale si troveranno di fronte a molte novità, sia nelle prove scritte sia in quella orale. Sparita la terza prova scritta, saranno nuove le due prove scritte, la seconda delle quali relativa all’indirizzo di scuola. In questo testo intendiamo soffermarci sulla prima, quella di Lingua italiana.
Da sempre, come i nostri cagnolini e gattini maschi (non sterilizzati), ogni nuovo ministro della pubblica Istruzione lascia la propria “traccia” (sic!). Dove? Perlomeno sull’esame di stato, quando pur non s’ingegni per una nuova riforma generale del comparto scolastico. Per “segnare il territorio”, così come le nostre bestioline? Per farsi ricordare per l’ennesimo riordino? Perché si tratta di un’improrogabile necessità? Lasciamo ad altri il compito di scervellarsi per rispondere a tali metafisiche quistioni. Fatto sta che dal prossimo giugno 2019 ci troveremo di fronte a un nuovo esame di stato, completamente rinnovato, come si è detto, sia nelle prove scritte sia nel colloquio orale. La nuova prima prova scritta dell’esame di stato consiste ora in tre tipologie. Ne spariscono di sicuro due delle quattro precedenti (B, Saggio breve o articolo di giornale, e C, Tema di argomento storico).
Resta quasi intatta la tipologia A, già Analisi del testo, ora più specificamente definita Analisi di un testo letterario italiano; dunque, niente brani filosofico-letterari e/o stranieri. La nuova tipologia B consiste in un’Analisi e produzione di un testo argomentativo. La C è una Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità; essa somiglia molto al tradizionale tema da sviluppare partendo da una citazione.
Ad onor del vero e a difesa del neoministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Marco Bussetti, il progetto del nuovo esame di stato era antecedente alla sua gestione. Afferma, infatti, lo stesso Bussetti in un’intervista concessa a Luca Telese (La scuola? Dev’essere come una squadra di basket, in Panorama, anno LVII, n. 11, 6 marzo 2019, pp. 18-23): «Le persone che da giorni stanno sollevando polemica su questa cosa dimenticano […] che questa riforma non l’ho fatta io, ma il mio predecessore, decreto 62 del 2017». L’attuale ministro non l’ha fatto presente perché «in otto mesi io non ho detto una parola contro Valeria Fedeli. E non è solo un problema di stile per me, ma – anche – una questione di sostanza. […] Credo che la continuità istituzionale sia il primo principio di serietà dell’amministrazione pubblica. Quindi non butto mai via, per pregiudizio, il lavoro di chi mi ha preceduto». E difende le “tre buste” del colloquio, in quanto per gli studenti «è una garanzia che abbiamo inserito perché non ci sia alcun favoritismo: ci troveranno dentro una foto storica, un brano, un reperto da cui far partire il loro colloquio».
Torniamo al discorso centrale. Le nuove tipologie, volendo tutte verificare la comprensione del testo da parte dei candidati, sono una sorta di ammissione di una disfatta: molti nostri studenti della scuola secondaria superiore non sono più in grado di decodificare un testo complesso. Sulle cause di tale arretramento di competenze, fino al cosiddetto analfabetismo di ritorno, tanto si dibatte. Certo, la cultura dell’immagine, l’uso maniacale dei nuovi strumenti di comunicazione individuale (tristemente solitaria) e la disabitudine alla pacata lettura su libri cartacei fanno la loro parte…
Pertanto occorre sondare se i maturandi capiscono quello che leggono. Tutto ciò in consonanza con le prove Invalsi, non sempre perspicue e che vorrebbero assegnare un significato unico a testi per loro natura polisemici come quelli letterari. Tuttavia, mentre la precedente tipologia B spingeva gli allievi a scrivere testi che esistono in abbondanza nella realtà quotidiana, quali articoli di giornale e brevi saggi, le nuove tipologie sono puri esercizi scolastici, che, una volta terminato l’esame di stato, non troveranno più applicazione pratica nella vita. I testi proposti nelle nuove tipologie B e C risulteranno interessanti e stimolanti per i nostri giovani? Ancora. È possibile che a tutt’oggi si faccia scrivere a mano su un assurdo “foglio protocollo”? E come si può accettare che dei giovani escano dalla scuola superiore senza saper usare correttamente il programma di scrittura Word e, comunque, molte delle sue potenzialità? E, secondo le lamentationes degli atenei italiani, le matricole (e non solo loro) non riescono a redigere un testo di tipo universitario, non sapendo suddividere, titolare, paragrafare, citare le fonti, usare le note a piè di pagina, compilare una decente bibliografia (e sitografia) ecc., ecc.
Come insegnare a mettere almeno un po’ di ordine nella loro produzione agli allievi, in particolare quelli con poche competenze testuali, abilità di scrittura e conoscenze culturali? «Font, corpo tipografico, interlinea, maiuscole/minuscole, dediche, titoli, sottotitoli, capoversi, richiami, parole-chiave evidenziate, riquadri, fotografie, didascalie… Tutti questi elementi, assieme a molti altri, costituiscono il cosiddetto Paratesto: cioè, tutto ciò che non è un testo vero e proprio, ma si muove, in un certo senso, assieme e dentro ad esso» (Rino Tripodi e Bottega editoriale, Nuovo manuale pratico di Scrittura per laureandi, saggisti, giornalisti, diplomandi, partecipanti a concorsi pubblici, redattori, Rubbettino, Soveria Mannelli 2016, p. 31).
Chiediamo scusa per l’autocitazione, ma nelle scuole medie superiori non si dà alcuna importanza – e quindi non lo si insegna – all’aspetto grafico del testo. A cominciare dall’uso dei capoversi coi margini rientrati, che offrirebbero a chi legge un po’ di respiro e chiarezza anche sui contenuti e sulle strutture espositive-argomentative del testo. Word: di tale programma di scrittura i ragazzi sanno usare correttamente l’impostazione grafica del testo, il controllo ortografico, la ricerca automatica dei sinonimi, il trova/sostituisci delle ripetizioni lessicali, il grassetto e il corsivo, il maiuscoletto per le citazioni, le corrette virgolette a caporale, gli elenchi, le lingue straniere? A scuola non sarebbe il caso di dedicare un po’ di tempo a insegnare queste competenze, utili anche nella vita futura dei giovani? Pensiamoci.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XIV, n. 162, giugno 2019)