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Home GIURISPRUDENZA-DIRITTO DEL LAVORO

La pericolosità “concreta” della coltivazione di droghe vegetali

Le sentenze della Corte di Cassazione degli ultimi decenni tendono in molti casi a depenalizzare la coltura di “erbe” per uso personale

Andrea Baiguera Altieri by Andrea Baiguera Altieri
3 Novembre 2025
in GIURISPRUDENZA-DIRITTO DEL LAVORO, SALUTE-MEDICINA, TEMATICHE CIVILI
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La pericolosità “concreta” della coltivazione di droghe vegetali
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Le sentenze della Corte di Cassazione degli ultimi decenni tendono in molti casi a depenalizzare la coltura di “erbe” per uso personale

Nell’ambito del Diritto penale non esistono reati “non socialmente e concretamente pericolosi”. Non ha senso parlare di un reato che non rechi un’offesa concreta e tangibile ad un bene protetto dalla Costituzione.
Durante il fascismo, il regime aveva generato decine e decine di reati nei quali mancava l’antisocialità; l’unico fine di tali fattispecie delittuose era quello di inventare pretesti per reprimere qualunque opposizione alla dittatura.

Un reato è tale solamente se esso provoca un pericolo fattuale
Viceversa, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, i padri costituenti hanno voluto che tutte le disposizioni del Codice penale avessero un aggancio ben solido con le tutele fondamentali del Diritto costituzionale, cosicché ogni limitazione della libertà personale ha cessato, almeno in linea di principio, di essere arbitraria o fondata sul perverso valore del mantenimento dell’ordine costituito. Forse questa impostazione vincola eccessivamente il Parlamento e conferisce un eccessivo potere alla Consulta, ma si tratta dell’unico modo per salvaguardare un garantismo liberale e democratico.
Come insegna il nuovo articolo 131 bis del Codice penale, introdotto nel 2015, non è penalmente rilevante un’infrazione che non abbia cagionato un danno o un pericolo discretamente apprezzabile. La sanzione criminale può essere applicata esclusivamente a fronte di un danno materialmente non bagatellare. Dunque, la giuspenalistica rifiuta il concetto di “pericolosità astratta”. Un delitto o una contravvenzione sono penalmente rilevanti solamente se essi esternano un’antisocialità che ha messo o, perlomeno, ha tentato di mettere in pericolo la pace sociale rappresentata dai valori tutelati dalla Carta fondamentale.
Il rigetto legislativo della pericolosità giuridica astratta ha implicazioni anche in tema di coltivazione di piante a effetto psicotropo
La ratio della “concretezza” dell’antisocialità delittuosa ha conseguenze anche nel contesto della coltivazione di droghe vegetali, vietata dall’articolo 73 del testo unico 309/90 (TU 309/90). Infatti, come precisa la Cassazione in Sezioni unite Di Salvia del 2008, «l’offensività concreta [della pianta drogante] consiste nel dovere del Legislatore di sanzionare esclusivamente condotte in grado di ledere il bene giuridico protetto [che è quello della salute collettiva, ex comma 1 articolo 32 costituzione, ndr]; di contro, non è chiamato a punire comportamenti insignificanti, senza una certa portata lesiva».
Per esempio, spesso la droga estratta dall’arbusto o dal fungo o dalla foglia ha uno scarso tenore drogante e, per conseguenza, non cagiona alcun danno, nemmeno potenziale, all’integrità psicofisica dell’assuntore. Oppure, si pensi alla cannabis light, che non contiene il THC, bensì il CBD, tossicologicamente privo di efficacia psicoattiva. Oppure, ancora, si pensi ad un fungo allucinogeno che, quando masticato, rilascia poca psilocibina.
La Suprema Corte ha assai approfondito la tematica dell’offensività «non astratta» delle erbe droganti
Un vegetale che non presenta un concreto tenore psicotropo non rileva sotto il profilo penale e, pertanto, la sua coltivazione non è punibile. A tal proposito, la Cassazione ha elaborato una serie di criteri ben precisi. Cassazione, Sezione penale VI, 10 novembre 2015, n. 5254 afferma che il rischio per la salute collettiva è necessariamente legato alla coltivazione dei soli «tipi botanici» vietati. A sua volta, Cassazione, Sezione penale IV, 17 febbraio 2011, n. 25674 richiede, per l’applicazione dell’articolo 73 TU 309/90, la presenza di «un livello di principio attivo sufficientemente alto».
Del pari, Cassazione, Sezione penale VI, 12 novembre 2001, n. 564 e Cassazione, Sezione penale VI, 13 dicembre 2011, n. 6928 asseriscono che «la pericolosità del vegetale è funzionale alla effettiva capacità drogante della sostanza estratta dalla pianta». Similmente, Cassazione, Sezione penale III, 9 maggio 2013, n. 2561 parla di un «pericolo non astratto» solo se dalla pianta coltivata sia ricavabile «un notevole quantitativo di principio attivo».
Si potrebbero citare centinaia di precedenti della Cassazione nei quali viene ribadita la necessità di una «offesa non astratta» della coltivazione nei confronti del bene supremo della «salute pubblica». Sezioni unite Caruso del 2019 ha lodevolmente sintetizzato il problema rimarcando che «è integrata l’offensività in concreto in presenza di un tipo botanico conforme a quelli vietati, della capacità drogante della sostanza estratta dalla pianta e dell’idoneità a confluire nel mercato degli stupefacenti. [Mentre] la punibilità è da ritenersi esclusa quando vi sia una coltivazione inadatta a produrre sostanze stupefacenti, o se il prodotto finale non sia conforme a quello vietato, ovvero nel caso in cui il principio attivo sia talmente basso da rendere nullo l’effetto drogante».
E nel caso di una coltivazione domestica?
Tendenzialmente, pur se non mancano le eccezioni, la Suprema Corte fa rientrare la coltivazione domestica di droghe nell’alveo dell’«uso personale» non penalmente rilevante ex articolo 75 TU 309/90. Tuttavia, gli strumenti impiegati per una coltura meramente domestica debbono essere «rudimentali», poiché, ad esempio, una serra indoor, quindi professionale, si presume sempre e comunque finalizzata allo spaccio ex articolo 73 TU 309/90. Inoltre, come specifica il già citato Sezioni unite Di Salvia del 2008, se il contesto fa sospettare una coltivazione «non per il solo consumo individuale», in tal caso la coltura è penalmente sanzionabile.
Due Ordinanze della Corte d’Appello di Brescia hanno adito la Corte costituzionale proponendo di depenalizzare le coltivazioni ad uso automedicativo personale, poiché esse «non vanno mai ad incrementare la quantità di droga presente nel mercato». Tuttavia, Consulta 190/2016 ha risposto che anche le colture domestiche sono da reputarsi come socialmente pericolose nonché ontologicamente dannose alla luce del comma 1 art. 32 Costituzione.
In ogni modo, a tal proposito, va notato che, nonostante Consulta 190/2016, la Cassazione prosegue tutt’oggi a manifestare una particolare mitezza sanzionatoria nei confronti della coltivazione rudimentale e privata di un numero esiguo di piantine riservate al solo consumo individuale.

Le immagini: a uso libero e gratuito da Pixabay secondo la Licenza per i contenuti (autori: KELLEPICS; MrWashingt0n; myshoun).

Andrea Baiguera Altieri

(Pensieri divergenti. Libero blog indipendente e non allineato)

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Tags: cassazionecoltivazione cannabisdrogasalute collettivaTU 309/90
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