Nel 1920, proprio tre anni dopo l’ascesa dei bolscevichi in Russia, una strana vicenda turbò la redazione di una delle testate giornalistiche più longeve della storia, che ha da poco superato il secolo di vita
Il Guerin Sportivo è una tra le testate giornalistiche più longeve della storia (non solo italiana), che si è sempre distinta per competenza tecnica, spirito critico e qualità dei collaboratori. Fondato dal giornalista torinese Giulio Corradino Corradini, il suo primo numero fu stampato il 4 gennaio 1912, durante la Belle Époque. Dal 2009, per ragioni economiche, il Guerino è diventato un mensile e il suo nome è stato mutato in GS (cfr. http://blog.guerinsportivo.it).
Il giornalista Paolo Facchinetti − che ne è stato anche direttore − ha celebrato il centenario della rivista pubblicando il bel volume Un secolo di Guerino. La storia leggendaria del più antico periodico sportivo del mondo (Minerva Edizioni, pp. 232, € 17,00). Facchinetti ripercorre le principali vicende che hanno segnato la vita del rotocalco sportivo più amato dai “tifosi” italiani, ne ricorda gli illustri collaboratori − le «grandi penne» Giovanni Arpino, Alberto Bevilacqua, Luciano Bianciardi, Gianni Brera, Camilla Cederna, Dario Fo, Arnoldo Foà, Indro Montanelli, Gianni Mura, Pier Paolo Pasolini, Darwin Pastorin; le «grandi matite» Carlin Bergoglio, Angelo Bioletto, Eugenio Colmo, Marco Finizio, Marino Guarguaglini, Giovanni Manca, Mordillo, Giorgio Muggiani, Claudio Onesti, Gino Pallotti, Giuliano Rossetti − e inserisce in appendice una splendida rassegna delle sue più significative copertine.
Facchinetti, tuttavia, non menziona nel libro un episodio bizzarro, accaduto nella redazione del Guerino il 16 ottobre 1920, ma venuto alla luce solo di recente (cfr. La rivolta dei bolscevichi, in GS, n. 7, 2013). Quel giorno il settimanale uscì stravolto nei contenuti della prima pagina, perché due intrepidi redattori, approfittando dell’assenza del direttore Corradini, sostituirono ai testi originali un sermone contro lo sport capitalistico, intitolato Piazza pulita, includendo anche una singolare vignetta, in cui si vede il cavaliere Guerino che, dopo aver pugnalato Corradini, intona la canzone Bandiera rossa e sventola uno stendardo su cui spiccano una falce e un martello racchiusi dentro un sole. Nell’articolo i due giornalisti comunicano ai lettori di aver dato «lo sfratto al direttore, rappresentante odiato di quella turba di caratisti che è la piovra che succhia da anni la nostra intelligenza onesta di proletari» e di voler finalmente realizzare il noto principio «mens sana in corpore sano» emancipando gli sportivi «dalla meccanicità, fine a se stessa».
Si trattò solo del gesto insano di due tipi un po’ svitati e stanchi di subire angherie? Corradini, sventato il golpe, rivelò nel numero successivo del Guerino che i due giornalisti erano «giovani russi venuti in Italia da pochi mesi» e accolti in redazione perché «avevano presentato un progetto, abbastanza geniale, su dei nuovi tipi di reclame delle ditte inserzionistiche», sostenendo che, al momento della rivolta, fossero ubriachi. Il direttore, però, avanzò anche il sospetto che i russi fossero «due spie, due emissari di Lenin», venuti a sobillare i lavoratori italiani. Tre mesi dopo, in effetti, a Livorno si svolse il 17° congresso del Partito socialista italiano che portò alla scissione della corrente “bolscevica”, guidata da Amedeo Bordiga e Antonio Gramsci, e alla successiva nascita del Partito comunista d’Italia.
Non crediamo, tuttavia, che dietro il colpo di mano dei due redattori ci fosse lo “zampino” dei futuri dirigenti del Pcdi, all’epoca scarsamente interessati alle competizioni sportive, che solo negli anni Trenta avrebbero attratto le masse (cfr. La complessa relazione che lega sport e politica, in www.excursus.org). È più probabile, invece, che i redattori − alticci − abbiano agito di testa propria, usando maldestramente il Guerino per propagandare gli ideali rivoluzionari, senza rendersi conto di mutuare, invece, concetti cari alla cultura nazionalistica. La curiosa vicenda sta a testimoniare, in ogni modo, il clima di esaltazione imperante in Italia durante il “biennio rosso” (1919-1920), culminato nell’occupazione delle fabbriche nel settembre del 1920. Di lì a poco il Belpaese avrebbe preso una china reazionaria con il rapido affermarsi del fascismo e l’ascesa ai vertici dello Stato di Benito Mussolini, che seppe sfruttare lo sport come mezzo di propaganda del regime e di indottrinamento del popolo.
Le immagini: a sinistra, la prima e la quarta di copertina del libro di Paolo Facchinetti; a destra, la prima pagina del Guerin Sportivo del 16 ottobre 1920.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno VIII, n. 94 ottobre 2013)