Cinquant’anni fa una valanga uccise 55 nostri connazionali che stavano costruendo una diga in Svizzera. I responsabili del disastro furono in seguito assolti
Il 30 agosto del 1965, alle ore 16,35, una valanga si staccò dal ghiacciaio dell’Allalin, ubicato in Svizzera nel Canton Vallese, abbattendosi sul cantiere della diga del lago artificiale di Mattmark allora in costruzione. Le operazioni di recupero dei cadaveri durarono oltre due mesi e il numero ufficiale delle vittime fu di 88 morti, 55 dei quali italiani.
Le misure di sicurezza predisposte a tutela degli operai risultarono pressoché nulle: gli alloggi dei lavoratori erano stati collocati proprio a piedi del ghiacciaio dell’Allalin, assai temuto a causa della sua instabilità. Soltanto dopo il disastro venne impiantato un sistema di allarme per le valanghe e si predisposero le esercitazioni per la fuga in caso di pericolo. La magistratura elvetica approntò un primo processo che durò sei anni e si concluse con l’assoluzione dei dirigenti della Electrowatt, la ditta che aveva curato la costruzione della diga di Mattmark. Il processo di appello confermò la sentenza, obbligando addirittura le famiglie delle vittime al pagamento delle spese giudiziarie.
In quegli anni gli immigrati italiani erano oggetto in Svizzera di aspre campagne xenofobe: tra il 1965 e il 1974 tre referendum furono promossi per fermare “l’invasione italiana”, ma vennero respinti dalla maggioranza degli svizzeri a causa dei danni che la vittoria dei “razzisti” avrebbe arrecato all’economia elvetica. Le difficoltà nelle quali versavano gli italiani residenti nella terra di Guglielmo Tell furono testimoniate nel 1973 dal bel film Pane e cioccolato, diretto da Franco Brusati e interpretato da un ottimo Nino Manfredi.
Tra i lavoratori morti a Mattmark ci furono anche 7 cittadini di San Giovanni in Fiore (Cosenza), il paese della Sila del quale LucidaMente si è già occupata a proposito dell’eccidio avvenuto il 2 agosto 1925 (vedi La strage dimenticata di un altro 2 agosto). Gli scrittori calabresi Saverio Basile e Francesco Mazzei hanno ricostruito la sciagura del 30 agosto 1965 nel saggio Mattmark. Storia di una tragedia annunciata (Pubblisfera Edizioni), nel quale, oltre a denunciare le responsabilità di chi non seppe prevenirla, hanno onorato la memoria dei sangiovannesi deceduti in quella triste circostanza: Giuseppe Audia, Gaetano Cosentino, Fedele Laratta, Francesco Laratta, Bernardo Loria, Antonio Talerico, Salvatore Veltri.
Fino agli anni Settanta del secolo scorso gli italiani subivano forti discriminazioni negli stati dove si trasferivano in cerca di lavoro. La loro reputazione era molto bassa, come si evince da questo brano tratto dal libro L’Orda. Quando gli albanesi eravamo noi (Rizzoli) di Gian Antonio Stella: «La feccia del pianeta, questo eravamo. Meglio: così eravamo visti. Non potevamo mandare i figli alle scuole dei bianchi in Louisiana. Ci era vietato l’accesso alle sale d’aspetto di terza classe alla stazione di Basilea. Venivamo martellati da campagne di stampa indecenti contro “questa maledetta razza di assassini”. Cercavamo casa schiacciati dalla fama d’essere “sporchi come maiali”. Dovevamo tenere nascosti i bambini come Anna Frank perché non ci era permesso portarceli dietro. Eravamo emarginati dai preti dei paesi d’adozione come cattolici primitivi e un po’ pagani. Ci appendevano alle forche nei pubblici linciaggi perché facevamo i crumiri o semplicemente perché eravamo “tutti siciliani”».
Di recente l’ostilità contro i forestieri ha ripreso vigore in Svizzera, in particolare nei confronti dei “frontalieri”, i pendolari italiani che quotidianamente si recano in terra elvetica per ragioni di lavoro. Nel febbraio 2014 un referendum ha stabilito l’introduzione di tetti massimi annuali nell’assunzione di manodopera straniera, ma un altro referendum, tenutosi lo scorso novembre, ha bocciato la proposta di limitare ad appena lo 0,2% annuo l’ingresso di nuovi immigrati. Ancora una volta, dunque, gli interessi economici sono prevalsi sulle ubbie degli xenofobi svizzeri.
Le immagini: in apertura, foto del ghiacciaio dell’Allalin; la copertina del libro di Saverio Basile e Francesco Mazzei; lapide dedicata alle vittime della tragedia; emigranti italiani appena giunti nel paese elvetico.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno X, n. 116, agosto 2015)